martedì 20 novembre 2007

Ogni cosa al suo posto




Bicchiere insaponato, sciacquato e asciugato con il panno giallo, a sua volta appeso bello steso sull'appendino sopra i fornelli. Una passata di spugnetta – da riporre poi nel contenitore di plastica appeso alle piastrelle sotto lo scolapiatti – sul lavello, per non lasciare le macchie di detersivo. Bicchiere riposto nello scaffale sopra i fornelli.
Fece tutto automaticamente, con la mente momentaneamente altrove, nel posto strano e lattiginoso dove passava la maggiorparte del tempo.
Una volta richiuso lo scaffale però un pensiero irriguardoso, forse addirittura cattivo, sicuramente sbagliato: “Perché tutta questa manfrina di lavasciuga se tra poco io stesso riberrò da quel bicchiere? Non sarebbe più comodo lasciarlo lì, vicino al lavandino, usarlo tutta la giornata e magari lavarlo la sera?”
Rispose sua madre: “Ogni cosa al suo posto e un posto per ogni cosa”.
“Grazie mamma”, disse ad alta voce, pur essendo come sempre da solo. Sua madre aveva un proverbio adatto a spiegare e a dare indicazioni su come comportarsi in ogni situazione.
“Sì ma il posto di quel bicchiere non potrebbe essere lì, sul lavandino o sul tavolo o sul bracciolo della mia poltrona?”.
Un altro pensiero non conforme, il secondo in pochi minuti. Forse era il caso di prendere la pillola blu? Anzi, a dirla tutta era il terzo, visto che poco prima di alzarsi per bere aveva chiuso il giornale per vedere se sulla pay-tv davano qualche film decente, senza trovare nulla che valesse la pena guardare. Eppure lo sapeva, a quell'ora, le cinque del pomeriggio, in tv non davano niente, per questo suo padre gli aveva intimato di leggere il giornale tra le quattro e le sei, tra il riposino post-prandiale e la sua visita quotidiana, così da avere qualcosa di cui discutere nelle due ore in cui sarebbero rimasti assieme.
Non gli dispiaceva essere informato, sapere quello che succedeva nel mondo, e poi “Di tutte le malattie, l’ignoranza è la più pericolosa”, diceva sempre sua madre.
Però quel pomeriggio, alla vista di un articolo in cui un ministro delle finanze accusava le congiunture sfavorevoli della scarsa crescita del paese, si era veramente infastidito: da anni sempre la solita solfa! Eppure sapeva che non era bene discutere le notizie che arrivavano dall'alto. Gliel'aveva spiegato suo papà, quando lui era piccolo. “Un buon cittadino obbedisce alla legge senza farsi troppe domande!”, un'affermazione e un tono che non ammettevano regole.
Troppi pensieri sbagliati, quel pomeriggio, decisamente doveva pendere una pillola blu. Come diceva il dottor Levi, lui non era cattivo, o sbagliato. Semplicemente alle volte gli venivano delle idee bislacche, e le pillole servivano a rimetterlo in carreggiata. Blu per cominciare, rosse se la situazione diventava più seria. Aveva imparato ad amministrarsi da solo, 'autocontrollo', lo chiamava suo papà. Era solo questione di tempo, diceva il dottor Levi, e presto non avrebbe avuto più bisogno delle pillole. “Chi fatica in giovinezza, gode i frutti in vecchiezza.” il parere di sua madre sulla faccenda.
Già, ci voleva una bella pillolina blu.
“Vado subito mamma!”, esclamò immaginando lo sguardo di rimprovero di sua madre, se avesse potuto sentire quei pensieri.
Tornò in cucina, prese le pillole dal primo cassetto, quello delle medicine. Bicchiere d'acqua, un unico sorso, lavasciuga, pulizia del lavandino, straccio, spugnetta e bicchiere al proprio posto, e via in poltrona a leggere il giornale.
Dall'economia agli spettacoli, poi lo sport e la cronaca locale. Tanto ancora da leggere, ce l'avrebbe fatta appena per l'arrivo di suo padre, alle sei in punto, come tutti i giorni. Una lettura distratta, giusto per incamerare i fatti salienti, come ormai aveva imparato a fare, per fare contento suo padre. Ma quel pomeriggio non era cosa. Il silenzio della casa lo opprimeva, hai voglia a dire “Dall’albero del silenzio pende per frutto la tranquillità”, come la mamma. Quel pomeriggio avrebbe tanto voluto scambiare quattro chiacchiere con qualcuno, con un amico. Eh sì che fino a poco tempo prima, prima del fattaccio, di amici ne aveva parecchi. Ai suoi non piacevano, “un branco di debosciati”, aveva sentenziato suo padre. “Amico di ventura niente vale e poco dura!”, la mamma. E con il dottor Levi erano stati d'accordo nell'attribuire la colpa del fattaccio ai suoi amici, a Giampiero, in particolare. Eppure avrebbe potuto chiamarli, in effetti con loro non aveva litigato. Chissà, forse lo avrebbero capito. Giampiero sicuramente.
Un altro pensiero sbagliato. Sbagliatissimo addirittura. Forse la pillola blu non avrebbe fatto effetto, o forse ci avrebbe messo un po' più del solito.
Certo che stavolta l'aveva pensata grossa. Un pensiero da pillola rossa, quasi. “Scusa mamma” mugolò spaventato.
E poi non avrebbe potuto chiamare nessuno. Aveva sì un telefono, ma ogni mese con la bolletta arrivava la lista delle telefonate a suo padre, e avrebbe scoperto tutto, vedendo un numero diverso dai tre – mamma, papà e dottor Levi – che gli era concesso chiamare.
Non gli era proprio andata giù questa storia della 'bolletta trasparente', “chi non ha nulla da nascondere non ha nulla da temere!” avevano sentenziato all'unisono mamma e papà dopo le sue rimostranze. Una delle frasi più amate dai dittatori, aveva letto una vita fa, quando ancora poteva scegliersi le letture.
Avrebbe potuto uscire sul terrazzo, vedere un po' di gente, almeno dall'alto, ma da casa sua la vista non era un granché. Vedeva viale Parioli, fiumi di macchine e di gente indaffarata a fare 'cose', tutti di corsa e nervosi. E di fronte il palazzo dei suoi.
Però avrebbe potuto usare il computer, che non era controllabile. Certo, in teoria poteva usarlo solo dalle 9 alle 11, quando sua madre gli puliva casa, e buttava un occhio sul monitor per vedere cosa stesse combinando. E poi era protetto da password. Lui però aveva scoperto la password che aveva no scelto i suoi, e la connessione era di tipo 'flat', quindi nessun report in bolletta. Giampiero aveva un blog una volta, prima del fattaccio. Poteva provarci, e poi cancellare le pagine viste dalla cronologia, che non si sa mai.
Oddìo che pensiero orrendo! Ingannare così i suoi genitori e il dottor Levi! Decisamente aveva bisogno di una pillola rossa.
Mentre pensava così però era già entrato nella sua stanza da letto. Lì, sulla scrivania, il suo portatile, chiuso. Accanto al pc, come anche sul tavolo della cucina, sul mobile del soggiorno e sulla mensola del bagno, la madre aveva amorevolmente appoggiato una pillola rossa, per i casi estremi. La prese in mano e la tenne stretta, mentre accendeva il pc. Comparve la schermata che richiedeva la password. “Cicciolo”, aveva sempre detestato quel nomignolo. Strinse il pugno con la pillola sulle labbra, mordendosi le nocche. La stava facendo davvero grossa! “Tanto va la gatta al lardo che ci lascia lo zampino!”, così si era opposta sua madre alla sua richiesta di avere un computer, sostenendo che sarebbe stata una tentazione troppo grossa. Ma il dottor Levi era stato d'accordo con lui, e aveva convinto i suoi. “Deve imparare a dominare i propri istinti. Il computer è solo il primo di una serie di piccoli passi” aveva detto. E adesso lui stava per tradire la fiducia del dottore.
Ma d'altronde non avrebbe fatto nulla di male. Voleva solo sapere qualcosa di Giampiero. Si sarebbe accontentato di vedere se aveva ancora un blog, se casomai scriveva qualcosa su di lui, l'amico perduto, sul fattaccio. Non l'avrebbe contattato. Forse.
“Scusa mamma, scusa papà, mi scusi dottore”.
Sbriciolò la pillola tra le dita e aprì il browser.


continua... (forse)

3 commenti:

Anonimo ha detto...

ti vedo, anzi ti leggo, per la prima volta accantonare la narrazione esterna predominante per narrare l'interiore...forse la cosa che più mi mancava nella tua scrittura. è stata un'ottima scoperta, anzi doppia, perché è fatto anche molto bene.

Molto Ammaniti.
Il mio post preferito da quando sono assiduo frequentatore del tuo blog.

Aho, mo nun me fa che diventi meno duro in campo!!!

Paolo

Stefano ha detto...

grazie compagno, sempre gentilissimo.ti ringrazierò mercoledì, a colpi di sciabola, come al solito ;-)

Anonimo ha detto...

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