lunedì 3 novembre 2008

Diluvio

Da qualche parte bisogna pur (ri)cominciare









Fuori piove che dio la manda. Importa poco, io sono al chiuso di un bar con la donna che amo. Troppo impegnato a studiare i solchi che le lacrime scavano sul suo viso a fiotti di mascara per preoccuparmi del diluvio che sommerge la città.

Sara conciona una delle sue solite filippiche, epiche e inutili come una canzone degli Europe, contro lo stronzo di turno.

Pianti e urla e strepiti, tanto poche ore ancora e sarà di nuovo tra le sue braccia, o di un altro ancora: tutto muscoli e poco cervello, tanto cervello e pochi muscoli, poco di tutti e due ma tanto di… importa poco, tanto comunque non sarò io.

Parla e racconta e singhiozza, io la sento ma non la ascolto, troppo impegnato a riflettere sui momenti che mi hanno portato ad essere il suo miglior amico piuttosto che il suo compagno, e a osservare come gli occhioni lucidi e le labbra contratte la rendano ancora più terribilmente desiderabile.

Su di me gli occhi degli altri clienti del bar. Sguardi di commiserazone e maschile solidarietà, che noi uomini capiamo al volo lo strazio di uno innamorato di una che non gliela da’. Che un briciolo di senso in più l’abbiamo anche noi, checché se ne dica.

Il bar chiude e ci sbatte sulla strada e sotto il diluvio.

“E non abbiamo niente con cui coprirci!” dice Sara, ancora imbrattata di orgoglio ferito e mascara.

“Allora tanto vale approfittarne” rispondo io in un fremito di inizativa.

La abbranco e la bacio, le sue labbra si schiudono dopo un attimo di esitazione, spalancandomi mond fino ad ora soltanto immaginati. Le sue mani si stringono sulla mia nuca ed è l’ultima cosa che ricordo, prima che i nostri corpi si fondano sotto la pioggia.

mercoledì 12 marzo 2008

Falso d'autore




Il mio primo incontro con il Mago avvenne su un campetto polveroso della bassa Ciociaria. Io ero un promettente centravanti con il miglior piede sinistro che si fosse mai visto tra il fiume e l’autostrada, lui l’uomo a cui la dirigenza aveva affidato le nostre speranze di riscossa per quell’anno, il mio primo con la squadra dei grandi. Si spacciava per argentino, ma in realtà era nato a Tropea da un marine in libera uscita e una donnina piena d’amore verso il prossimo e un tariffario più che conveniente, e in Argentina c’era scappato a 15 anni, dopo aver mancato di rispetto alla ragazza sbagliata. Questo tuttavia, lo scoprimmo solo molti anni dopo.
Lo chiamavano il Mago perché di lui si raccontavano aneddoti leggendari: aveva insegnato a giocare a pallone ai giganti della Terra del Fuoco e allenato due giovanissimi Kempes e Maradona. Poi, per qualche misterioso motivo, aveva ricevuto un foglio di via ed era stato imbarcato sulla prima nave diretta in Europa. Per ingaggiarlo tutto il paese si era autotassato, d’altronde da troppi anni il nome della nostra squadra faceva sorridere anziché incutere timore.
Quel giorno che incontrai il Mago stavamo giocando un’amichevole contro la squadra dell’alto lato del fiume. Era una partita d’allenamento, ma tra i due paesi c’erano rivalità che risalivano ai tempi di Enea profugo dall’Asia minore, e quindi l’arbitro aveva espulso due dei nostri e due dei loro, e io ero entrato per sostituire il nostro centravanti, messo fuori causa da un gancio del terzino avversario. Eravamo sullo 0-0 quando l’arbitro assegnò agli avversari un calcio di punizione dal vertice destro dell’area. Il portiere posizionò la barriera, l’ala destra avversaria misurò i passi della rincorsa e l’arbitro mise il fischietto tra le labbra, quando l’aria fu scossa da un urlo disumano. Il mago aveva gettato a terra la sua Gauloises, il suo berretto e adesso saltava forsennato a piedi uniti su quella strana accoppiata, lanciando improperi contro il mondo e, soprattutto, contro il nostro portiere.
“La barriera mettila sul secondo palo! - Gli gridò – e tu pensa a coprire il primo, non vedi che questo è un mancino?”
La barriera sul secondo palo era una delle sue principali innovazioni tattiche: un mancino, da quella posizione, può solo tirare sul primo palo, e se il portiere è piazzato, la palla non entrerà mai.
Il portiere eseguì, arbitro e avversari osservavano il tutto perplessi, e il gioco poté riprendere solo quando Il Mago accese soddisfatto un’altra Gauloises e si sistemò il berretto sulla chioma fluente.
A quel punto Ciccio il macellaio, terzino della squadra avversaria, si portò sul pallone. Allontanò con una spinta il talentuoso funambolo che si apprestava a calciare e prese una rincorsa lunghissima. Al fischio dell’arbitro partì al galoppo, il terreno tremò come scosso da una mandria di bufali e lui prese il pallone dritto nel mezzo, con la punta dello scarpino, come solo i veri terzini sanno fare. La palla schizzò diritta tra il primo palo e la traversa, ponendo fine alla pacifica vita di una colonia di ragni che lì viveva da tempi ormai dimenticati.
La Gauloises e il berretto finirono di nuovo nella polvere e la nostra stagione cominciò nel peggiore dei modi.