lunedì 12 novembre 2007

Il sogno/1 - Parte Undicesima



Riassunto:
Una casupola, quadrata, pochi metri per lato, in mezzo a una radura circondata da un bosco, da sempre evitata dagli abitanti dei paesi circostanti a causa delle strane leggende che si raccontano. È proprio a causa di una queste – secondo cui la casupola sarebbe un punto di contatto tra il regno di morti e il nostro mondo – che Alfredo una notte decide di recarvisi, nella speranza di riuscire a rivedere la sua Gabriella, morta qualche mese prima. Il ragazzo riesce nel suo scopo, grazie all'aiuto di tre strani personaggi che incontra nella radura: Erlik (Penna Rossa, dalla penna che porta in testa, il capo della comitiva), Gorka (vestito da cowboy, appassionato di rock anni '70) e Lamiah (una strana ragazza più simile a un troglodita che a un normale essere umano che parla per versi gutturali). I tre promettono di aiutare Alfredo a rivedere la sua donna più volte, in cambio di oggetti di uso quotidiano (dischi, vestiti), il ragazzo però non potrà assolutamente toccare Gabriella, né tantomeno portarla fuori dalla radura, in più non può sapere quando, come e per quanto tempo gli sarà concesso incontrarla. Successivamente però le cose si complicano: Lamiah riappare come una splendida donna e tenta di sedurre Alfredo, mentre Gorka lo scaccia dalla radura e gli annuncia che gli sarà concesso di incontrare la sua donna solo un'altra volta. Alfredo per vederci chiaro va a casa di Sterina, una vecchia del suo paese che per prima, quando era un bambino, gli aveva raccontato della casupola. Arrivato a casa della vecchia però, vede Lamiah uscire dalla porta. Tenta di inseguirla senza riuscire a raggiungerla. Si ferma a un bivio, e sente una mano poggiarsi sulla sua spalla.

[...]

“E tu che ci fai qua?”

Alfredo non sapeva cosa rispondere, non poteva certo dire come fosse finito lì, in più la sorpresa gli impediva di inventare una qualsivoglia scusa. “Niente... non sto facendo niente... tu piuttosto... cosa ci fai qua?” Rigirò la domanda a sua volta, contento di essersi liberato dal peso di dover inventare una risposta plausibile.
“Beh, io qui ci abito, o te ne sei dimenticato?”. Gli rispose come si risponde a un bambino che chiede di colore è la luna. “Sono contento di rivederti, Alfredo, tornavo giusto da casa tua”.
“E cosa c'eri andato fare?”. Il tono era duro, arrogante, e non rendeva affatto bene il mix di delusione – per aver perso la ragazza – e di sorpresa e gioia per l'incontro inaspettato.
“Andavo a dare acqua alle piante!”. Il tono finto–esasperato della voce che Alfredo conosceva molto bene.
I due risero, poi si abbracciarono.
L'altro ragazzo era Luca, il migliore amico di Alfredo. I due si conoscevano da quando avevano preso consapevole coscienza del mondo che li circondava, e forse anche da prima, visto che erano nati con poche ore di distanza.
“Dai, vieni con me, andiamo a berci una birra”, disse Luca, apparentemente non disposto a repliche negative.
“Ma è tardi – Alfredo, incurante della risolutezza dell'amico – a quest'ora il bar è chiuso”.
“Sì ma Franco sta facendo le pulizie, se glielo chiediamo ci lascia le chiavi e qualche birra fuori. Non ti preoccupare, dai, è una vita che non ci si vede”.
La replica dell'amico bastò a convincere Alfredo, che, ormai convinto di non poter più riprendere la ragazza, era tutto sommato contento dell'incontro imprevisto.
Come detto da Luca, Franco il barista lasciò il bar aperto solo per loro, con l'impegno di non sporcare troppo, spegnere tutte le luci, chiudere bene la porta e non fare entrare nessun altro, sebbene a quell'ora sarebbe stato ben difficile trovare qualcuno in giro in cerca del bicchiere della staffa.
Luca, che conosceva bene il suo amico e aveva un notevole tatto, accompagnò le prime due birre con chiacchiere sui fatti suoi, il suo lavoro di psicologo presso la ASL della città, unico agglomerato di una certa importanza nel raggio di decine di chilometri, le sue beghe sentimentali, calcio e pettegolezzi.
Alfredo gli fu grato della delicatezza e, un po' per le birre un po' per la riscoperta di sensazioni quasi dimenticate, stava meditando se mettere a parte Luca degli assurdi avvenimenti dell'ultimo mese: da una parte avrebbe avuto piacere di condividere tutto con qualcuno, e chi meglio del suo migliore amico? Dall'altra però, sapeva bene che quello che aveva da raccontare era a dir poco incredibile, e non era sicuramente saggio parlarne con uno strizzacervelli, nonostante l'amicizia che li legava. Tuttavia Luca, oltre che psicologo, era anche un grande appassionato di esoterismo, conosceva miti e leggende dai quattro angoli del globo e collezionava libri esoterici anche molto antichi. Quindi forse, in qualche maniera avrebbe potuto aiutarlo...
“Tu invece, come te la passi?” Luca interruppe i pensieri dell'amico con la più prevedibile delle domande.
Alfredo bevve un lungo sorso, posò il bicchiere, e, tenendo gli occhi fissi sul tavolino, prese a giocherellare con il posacenere.
Stava per rispondere, quando la porta si aprì.
“Scusatemi ragazzi, ho bisogno di bere...”. Era Michele, uno dei carabinieri della caserma locale, unico avamposto dello stato in quell'ammasso di casette dimenticato da dio e dagli uomini.
“Ciao Michele, veramente sarebbe chiuso... noi siamo qui solo perché Franco ci ha fatto un favore...” rispose Luca.
“Lo so che è chiuso... ma ne ho troppo bisogno”. Rispose il carabiniere, impeccabile nella sua divisa ma visibilmente stravolto. Raggiunse il retro del bancone e, senza dare tempo ai ragazzi di rispondere, aveva già riempito e vuotato e riempito di nuovo un bicchiere di whisky.
“Ehi... ma cosa... cosa è successo?” chiese Luca, era evidente che a quel pover'uomo era successo qualcosa. Paonazzo in viso, sudato, gli occhi stravolti, i capelli grigi vistosamente arruffati, per quanto permetteva il suo taglio da militare. Ormai prossimo alla pensione, non aveva decisamente vissuto una vita carica di 'emozioni forti'.
L'uomo vuotò rapidissimamente un altro bicchiere, il terzo, in neppure un minuto, eppure ne sarebbero serviti almeno altrettanti per tranquillizzarlo, così a occhio.
“Hanno ammazzato la vecchia Sterina”, disse d'un fiato, vuotando il quarto bicchiere.

Interludio

Gorka guardò quell'immenso camino. Non era la prima volta che entrava in quel salone, tuttavia l'enormità di quel camino lo colpì come puntualmente avveniva ogni volta che se lo trovava di fronte. Alto da far entrare una persona di ragguardevole statura in piedi, senza problemi, e largo da ospitarne almeno quattro–cinque, una accanto all'altra. Ai due lati del focolare stavano due sedili di pietra. Su uno di questi, alla destra del fuoco, stava Penna–rossa.
Gorka ignorò la solita processione di uomini e donne, alcuni dei quali risucchiati tra fiamme azzurrognole da eleganti porte di legno massiccio, che lo circondava. Guardava fisso il suo amico.
Con indosso un rozzo pantalone mimetico da militare sotto una giacca settecentesca tutta strappata e sdrucita Erlik decisamente stonava con quell'ambiente elegante, tuttavia non sembrava preoccuparsene o rendersene conto, intento com'era a fumare nervosamente una sigaretta.
Una volta arrivato al filtro la gettò nel fuoco. Dopo di che prese tra le mani un tizzone acceso e lo usò per accendersene un'altra, per poi rigettarlo nel fuoco.
“Nervoso?” Gorka cercò di rompere il ghiaccio.
“No” rispose, gelido, Penna–rossa.
Gorka si stupì per la rabbia dell'amico. Tremava tutto, quasi impercettibilmente. Lo guardò meglio, sarebbe sembrato innaturalmente immobile, non fosse stato per la penna che traballava tra i lunghi capelli neri. “Cos'è successo?”
“Sta succedendo di nuovo Gorka” disse l'altro, rapido, come per togliersi un peso.
“Cosa?”. Chiese sapendo già la risposta.
“Lo sai benissimo”, tagliò corto Penna–rossa.
“Lo ha... lo ha...”
“Già. Lo ha fatto di nuovo. Ancora non è successo l'irreparabile ma credo che ormai manchi molto poco”.
“Ma... dobbiamo fare qualcosa...” disse tremando di terrore l'ex rockettaro, ora vestito come un damerino del '700, con tanto di parrucca. Sulla sua giacca però, faceva bella mostra una spilla a forma di Fender Statocaster.
“E cosa vorresti fare?” ruggì l'amico “Stavolta ci siamo dentro anche noi!”.
“Ma... noi non abbiamo fatto niente di male...”
“E qui ti sbagli Gorka. Quello che noi abbiamo fatto è tollerato. Ma non vuol dire che sia permesso” si fermò, tirando una lunga boccata dalla sua sigaretta. “Se succede qualcosa, ci andiamo di mezzo pure noi”.
“Allora... cosa facciamo?” chiese Gorka spaventato.
“Non possiamo fare nulla” rispose l'altro, terribilmente serio. “Lei è più potente di noi due messi insieme, e ormai è sfuggita al nostro controllo”.
“Potremmo intervenire su di lui... sul ragazzo...”
“A dirla tutta ci sto provando ma... non so se funzionerà”.
“Perché non dovrebbe funzionare? E poi come... come sarebbe a dire che ci stai provando?”
“Gli ho ordinato di non andare più dalle parti della casupola”.
L'altro lo interruppe “Ma sei matto? E noi come facciamo?”
“Noi possiamo benissimo continuare senza di lui, lo sai bene”.
“Sì ma...”
“Nessun ma!” gridò l'altro. Le pareti del salone tremarono, e qualcuno dei partecipanti all'assurda processione che aveva luogo in quel salotto si girò stupito a guardare quel che succedeva. “Neanch'io sono contento, ma questo adesso non è un problema. La verità è che questa storia deve finire il più presto possibile. E comunque Alfredo vedrà un'altra volta la sua donna”.
“E tu come lo sai?”
“Gli ho promesso un ultimo incontro, ma gli ho detto che saremo noi a cercarlo, per tenerlo buono e prendere tempo. Per nessun motivo dovrà più avvicinarsi alla casupola”.
“E... e quando ci sarà quest'incontro?”
“Non lo so Gorka, dobbiamo pensare a qualcosa, a lui non basterà certo un ultimo incontro, e ormai, con Lamiah dalla sua parte, può benissimo fare a meno di noi. Dobbiamo muoverci, prima che lui lo scopra”.
“E allora cerchiamo la sua donna, portiamola da lui e chi se ne frega!”.
“Non basterebbe. Abbiamo bisogno di qualcosa che lo tenga lontano per sempre dalla casupola”.
“Allora ammazziamolo e basta!” Gorka era quasi isterico, sull'orlo delle lacrime.
“Idiota – ringhiò l'altro – sai benissimo che saremmo scoperti e puniti in modo terribile. Forse però..” la frase fu troncata da una terribile scossa, come in un terremoto di inaudita violenza. Durò pochissimo, ma bastò ad aprire vistose crepe nelle pareti del salone. Gorka cadde a terra, si alzò rapidamente e vide che l'amico era caduto nel fuoco. I vestiti e i capelli cominciavano a bruciare, ma lui restava immobile, rannicchiato in posizione fetale, lo sguardo fisso nel vuoto.
“Erlik! Tirati su, stai bruciando!”
“Gorka... – rispose l'altro, indifferente alle fiamme che ormai lo avvolgevano tutto – è terribile... terribile... lei... lei... ha ucciso!”
Migliaia di anime gridarono all'unisono, mentre un esercito di guardiani armati di picche e bastoni invadeva la sala.




4 commenti:

Gisel_B ha detto...

uaooo!!!
mi ha lasciata senza fiato e con la curiosita' di sapere il seguito!
:)

Stefano ha detto...

grazie gisél!
stavolta non ti farò aspettare troppo per leggere il seguito!

Il Gabbrio ha detto...

Mmm, ti diverti ad ingarbugliare le cose vero?
Bravo, è scritto veramente bene, piacevolissimo da leggere...aspetto il seguito!!!

Stefano ha detto...

grazie gabbrio!
sì mi diverto a ingarbugliare le cose, peccato che a un certo punto m'ero ingarbugliato pure io!