lunedì 24 settembre 2007

Il parcheggio

Qualche sera fa, dopo una buona mezz'ora di giri a vuoto, sono andato a parcheggiare in un enorme parcheggio sotterraneo a pochi metri da casa mia di cui quasi nessuno conosce l'esistenza. Mi sono ritrovato da solo in un'immensa distesa di cemento, illuminata qua e là da qualche fredda luce al neon. E ho trovato la situazione decisamente inquietante...

Mario sbuffò fragorosamente, mentre per l’ennesima svoltava attorno l’edificio della Scuola Elementare, completando così l’ennesimo giro – il decimo? Forse anche di più – per le strade del quartiere.
Oltre che stanco cominciava a sentirsi anche piuttosto nervoso: non aveva percorso settecento chilometri per poi passare la notte a girare per il quartiere alla ricerca di un buco dove infilare la sua macchina.
All’improvviso, tra una station wagon e un SUV parcheggiate ‘a spina’ gli parve di scorgere un buco: qualche nottambulo che cominciava i suoi giri forse, o qualche amante clandestino di ritorno dal/la legittimo/a consorte.
Diede gas, in un istante fu lì. Ora una rapida manovra e finalmente sarebbe andato a dormire, e non era nemmeno troppo lontano da casa!
Sarebbe stato perfetto, se solo lì, tra quei due macchinoni non ci fosse stata la solita, odiosa Smart, visibile solo da pochi metri a causa dei due giganti ai suoi lati.
Trattenne una bestemmia e ripartì.
Solito giro: bar, pizzeria, libreria, prima a destra che poi la strada chiude.
Ma… all’improvviso, come un’oasi nel deserto, bella rotonda, bianca su fondo blu, una P di almeno mezzo metro, sotto, una freccia che indicava di andare dritto e il cartello 666 m.
666 metri? Cos’era? Uno scherzo della stanchezza? Ma no, il cartello era lì, indicava la direzione della vecchia chiesa sconsacrata, e in effetti qualcuno gli aveva parlato di un parcheggio sotterraneo proprio sotto la vecchia chiesa. Non ci andava mai nessuno, questo gli avevano detto, al bar o all’edicola, non ricordava. Però c’era, era enorme e pubblico. Dopo quasi tre quarti d’ora di giri valeva la pena di provare. Ma quell’indicazione? 666 metri? Mah, forse un operaio del comune appassionato d’horror e con un dubbio senso dell’umorismo.
Percorse quei 666 metri a passo d’uomo, magari trovava un parcheggio senza per forza dover scendere sotto la chiesa.
Da anni utilizzava solo la macchina per girare in città e gli era capitato un sacco di volte di mollarla sottoterra. Stavolta però si sentiva stranamente a disagio. Giravano strane voci su quella chiesa, sebbene si trovasse quasi in centro e in uno dei quartieri più popolati di Roma.
Arrivò all’imbocco della discesa che l’avrebbe portato al parcheggio senza trovare uno straccio di buco per mollare prima la sua macchina. All’apparenza era tutto normale, d’altronde non poteva certo aspettarsi un antro fiammeggiante pronto a inghiottire lui e il suo fedele maggiolone.
Si stupì di non aver mai notato prima quella rampa e quelle indicazioni. Ma d’altronde da quando era andato a vivere lì aveva sempre condotto una vita piuttosto frenetica, e quelle vie le batteva poco, giusto quando la ricerca di un posteggio notturno ce lo portava, e insomma, la sua distrazione era proverbiale.
Ingranò la prima e imboccò la rampa. Tutto normale, apparentemente. Dopo una discesa di una decina di metri circa, sulla destra di apriva un enorme parcheggio di cemento. Quadrato, cinquanta metri almeno per lato, percorso in lungo e in largo da file di colonne anch’esse di cemento. Le colonne formavano dei quadrati tra cui erano disegnati i posti auto. In ogni quadrato ce ne entravano comodamente due, illuminati da lampade al neon fredde ma efficaci.
Incredibile. Un parcheggio così grosso completamente vuoto. Quando ogni notte gli abitanti della zona erano costretti a lunghissimi e spesso infruttuosi giri.
Dalla parte opposta al punto da cui era entrato gli parse di vedere un’altra uscita. Si diresse lì, spedito, in quanto uscendo da lì sarebbe stato più vicino a casa, e adesso voleva solo arrivare in camera sua il più presto possibile.
Parcheggiò contro il muro, scese e si diresse verso l’uscita. Imboccò un piccolo corridoio a ‘elle’ al termine del quale sarebbe uscito, o almeno così credeva.
Stavolta la bestemmia fu più veloce del suo autocontrollo: l’uscita era chiusa con un pesante cancello di metallo. Pensò di risalire in macchina e parcheggiare dalla parte opposta, vicino l’ingresso da cui era entrato. Poi cambiò idea. Si trattava di una cinquantina di metri circa, meno di un minuto di camminata, e dopo ore e ore al volante sentiva il bisogno di sgranchirsi le gambe.
Pochi passi e le luci al neon presero a tremolare, come per un calo di tensione.
Il tremolìo durò pochi secondi, ma quando cessò del tutto alcune delle luci si erano spente. Poco male, pensò Mario, di luce ce n’era ancora a sufficienza, nonostante molti punti del parcheggio fossero rimasti completamente al buio. Eppure cominciava a sentire una strana inquietudine.
Mario si girò per tornare verso la macchina. Ormai però era più o meno a metà strada, a conti fatti ci avrebbe messo di più ad arrivare alla macchina, aprire, salire, mettere in moto e arrivare dalla parte opposta. E poi il suo fondoschiena gli mandò una dolorosa richiesta di proseguire a piedi.
Sospirò e riprese a camminare.
Due passi, forse tre, poi sentì un rumore alle sue spalle.
Si girò.
Nessuno, eccetto la sua macchina, in fondo.
“IHIHIH”
Una risata!
L’aveva sentita, ma intorno a lui non vedeva nessuno. Qualche ragazzino forse, magari nascosto al buio.
Non aveva nessuna voglia di scherzare, ma neanche di farsi prendere in giro da un deficiente. Così riprese a camminare senza aumentare l’andatura. Cioè, un po’ allungò il passo, ma non troppo per non farsi scoprire.
L’uscita adesso era molto più vicina, dieci, quindici metri al massimo.
“OHOHOH”
Un’altra risata, diversa da quella di prima!
Si girò di nuovo, non vide nessuno, ma per forza doveva esserci qualcuno.
Valutò qualche secondo l’ipotesi di andare nel buio a mollare un paio di sberle ai simpaticoni che da lì si prendevano gioco di lui. In fondo era alto più di un metro e novanta, aveva sempre fatto sport e non aveva certo paura di uno o due cretini nascosti in un parcheggio.
Mentre valutava la possibilità, un nuovo tremolìo delle luci. Come prima durò pochi istanti, ma diversamente da prima spense un bel po’ di luci. Praticamente restarono accese solo quella sopra la sua macchina e quella davanti l’uscita. Il resto del parcheggio ora era immerso nel buio.
Sospirò con rabbia e si mosse verso la luce. Erano solo pochi metri, a breve sarebbe stato fuori e non sarebbe mai più tornato a parcheggiare lì sotto.
Un passo nel buio più totale e urtò qualcosa. Poi un rumore sordo gli disse che quel qualcosa che aveva urtato era caduto a terra.
Qualcosa o qualcuno?
Avrebbe giurato infatti di aver urtato una persone.
Stavolta cominciava davvero ad avere paura.
Tirò fuori l’accendino dalla tasca e si accese una sigaretta.
Quei pochi attimi di luce dalla fiamma del suo zippo bastarono a fargli notare qualcosa.
Riaccese e ciò che vide gli fece spezzare la sigaretta tra i denti per la paura.
Era circondato da strani esseri, a non più di tre metri da lui. Avanzavano lenti, incerti su gambe scheletriche coperte da brandelli di stoffa. I loro volti cadevano a pezzi mentre camminavano, a passi di pochi centimetri alla volta, le mani ossute tese in avanti.
Si girò per correre alla macchina e si trovò davanti due orbite vuote, gli occhi di quell’essere pendevano sulle guance scarnificate appesi ancora per qualche filamento vischioso. Al posto della bocca un’apertura nera priva di labbra da cui faceva capolino un grosso ratto nero.
Mario gridò di terrore, spinse via gli zombie più vicini a lui e si lanciò verso l’uscita.
Un attimo prima di mettere il piede fuori si voltò per vedere se lo stessero seguendo.
Neanche il tempo di mettere a fuoco ciò che accadeva dietro di lui.
Cadde all’indietro con un dolore lancinante alla testa.
Là dove prima c’era l’uscita adesso c’era un muro di cemento contro cui aveva battuto.
Era impossibile!
L’uscita era lì un attimo prima, ora c’era solo un muro ruvido e freddo!
E gli zombie ormai erano dietro di lui.
“Mario! Corri! Vieni qui!”
Guardò verso quella voce.
All’angolo opposto del parcheggio, in mezzo a un cerchio di candele accese, una ragazza lo chiamava con grandi gesti.
“Fai presto! Loro non possono entrare nel cerchio sacro! Sbrigati!”.
Mollò un pugno a uno zombie che ormai era a meno di mezzo metro di lui. Lo colpì in pieno viso e sentì perfettamente la testa staccarsi dal collo, cadendo a terra con un rumore viscido.
Prese a correre buttando giù a spallate tutti gli zombie che gli capitavano a tiro. Per sua fortuna erano lenti e deboli, e riuscì a superarli senza troppa fatica.
Corse come non aveva mai corso in vita sua, dritto verso quel cerchio di candele davanti a lui.
Per un attimo, mentre correva, pensò che anche la comparsa di quella ragazza era ben strana, forse era alleata degli zombie e lui ora stava solo per cacciarsi in una trappola ancor più grossa.
Si fermò a pochi centimetri dalle candele.
La ragazza tese le mani verso di lui.
“Presto Mario… entra nel mio cerchio… presto… loro qui non possono entrare…”
La sua voce era suadente, ma aveva qualcosa di strano. Era lontana, come se provenisse dalle viscere della terra.
Decisamente Mario non si fidava. Poi una mano di uno zombie sulla spalla gli fece passare tutti i dubbi, e con un balzo entrò nel cerchio.
Si voltò. Come aveva detto la ragazza, gli zombie non lo seguirono. Rimasero pochi centimetri al di là delle candele tendendo le braccia verso di lui ed emettendo terribili versi gutturali.
Mario sospirò, e guardò la sua salvatrice. Era bella: con lunghi riccioli rossi che le scendevano fino alla vita e occhi verdi come il mare, sembrava una fata delle favole.
Guardò Mario sorridendo. “Non ti preoccupare, io sono qui apposta per salvare dagli zombie quelli come te, che non credono alle leggende della vecchia chiesa. Presto farà giorno, e tu potrai uscire di qui. Ora abbracciami”. Così dicendo si avvicinò a Mario, tendendo le braccia verso di lui.
Mario la guardò rapito. Era davvero bella, e poi quegli occhi… così verdi… così profondi… per lui adesso al mondo c’erano solo quegli occhi. Si lasciò abbracciare, inalò l’odore pulito di quei capelli morbidi, assecondò le forme morbide di quel corpo che si adagiava al suo.
Poi all’improvviso, il dolore.
Tentò di gridare, ma dalla bocca gli uscì solo un rantolo e uno spruzzo di sangue.
Allontanò da sé la ragazza portandosi le mani al collo cercando di bloccare il fiume di sangue che usciva da dove lei lo aveva morso.
Mentre la vista si appannava la vide mutare… il volto si allungò in un muso da predatrice, i capelli la avvolsero tutta come una pelliccia di belva, e dalla bocca ghignante si intravedevano zanne come non Mario non ne aveva mai viste.
“Povero Mario – ringhiò – almeno adesso avrai una morte rapida!”
Lo afferrò per i capelli quasi strappandogli la testa. La ferita alla gola si allargò e la bestia ci tuffò il muso succhiando rumorosamente il sangue.
Andò avanti per pochi minuti emettendo versi orribili, mentre gli zombie stavano ancora tutti all’esterno del cerchio. In silenzio però, come in attesa.
Quando ebbe finito, la belva afferrò il corpo di Mario per una gamba, lo fece roteare in aria e poi lo lanciò nel buio, ben lontano da dove si trovavano gli zombie.
Questi si affrettarono, per quanto gli permettevano le loro misere condizioni, e la belva si stese nel suo cerchio di candele, mentre piano piano ridiventava una bellissima ragazza.
Dopo un po’ le si avvicinò uno zombie, tenendo tra le mani un pezzo di carne tondo e sodo, che era stato una natica di Mario.
“Ehi tu – disse – potevi lasciarci un po’ di sangue! Adesso questo è diventato duro come una vecchia ciabatta!”
E poi addentò famelico il pezzo di carne che aveva tra le mani.

8 commenti:

Gisel_B ha detto...

non si puo' fare colazione leggendo questo racconto!
:) blah...
schifo a parte, e' davvero carico di tensione. mi e' piaciuto!
buongiorno e bacio

Stefano ha detto...

un po' di sano splatter non guasta mai!

Il Gabbrio ha detto...

L'inizio ricorda un pò quelle strane circostanze in cui spesso si è trovato il buon vecchio Dylan, se poi ci metti anche la presenza del maggiolone!!!
Bello, mi piace lo splatter fine a se stesso!!!
Bello!

Stefano ha detto...

il maggiolone è una citazion, sclavi docet!
contento che ti piaccia, non dovrei dirlo ma piace molto pure a me ;-)

Anonimo ha detto...

Ehilà scrittore,
mi è piaciuto molto.
Sai che amo particolarmente tutto ciò che è gotico o giù di lì...
La frase finale dello zombie però, lascia un pò a desiderare...come dire è un pò gratuita.
Lo so lo so, sono una criticona, ma magari quello che penso potrebbe esserti utile nel futuro!
gaia

Anonimo ha detto...

e che la mette più la macchina in un parcheggio chiuso :-)

Stefano ha detto...

infatti sandro, meglio una sana e coatta 'doppia fila' ;-)

Unknown ha detto...

aaaaaaah, maraviglia.
lo sai che con ste' cose mi scialo, vero?