mercoledì 1 agosto 2007

L'ultima sigaretta

Adattamento di un soggetto scritto tempo fa per un cortometraggio sull'ultima sigaretta di un condannato a morte.

Patrik Bateman guardava il vuoto davanti a lui. Peccato che quel vuoto andasse a finire su un piatto sporco e una lattina di birra accartocciata.
Il suo sguardo avrebbe potuto spingersi più in là, ma sarebbe andato a incocciare contro una serie di sbarre verticali in acciaio, ferro o sa Dio cosa, e quindi il piatto e la lattina andavano più che bene.
Il prete parlò da un punto imprecisato dietro la sua spalla sinistra:
“Figliolo, sei sicuro della tua scelta? Ricorda che il signore è misericordioso, ti concederà il suo perdono, se glielo chiederai.”
Avete presente una faccia da prete? Di quelle facce che quando le vedi pensi 'ok, questo fa il prete'. Proprio come la faccia da medico o da prof o da gran figlio di buona donna.
Ecco, questo prete qui aveva proprio una faccia da prete: contrita, assorta nella contemplazione dei peccati dell'umanità, distaccata quanto basta per non farsi coinvolgere.
“Grazie padre ma ora voglio stare un po' da solo, avrò tutto il tempo del mondo per spiegare le mie ragioni al buon Dio, senza che lei si disturbi a fare da intermediario”.
Il prete rabbrividì di fronte a cotanta arroganza, e si avviò verso la porticina della cella facendosi il segno della croce. “Abbi pietà di lui, che non sa quello che fa”, pensò varcando il confine tra prigionia e libertà, senza pensare che forse quel pensiero, tenendo fede alle sacre scritture, avrebbe potuto essere considerato indice di superbia, un peccato capitale, mica una cosa da niente.
“Avrai pure tutto il tempo del mondo, ma tra cinque minuti passo a prenderti lo sai vero?” Si intromise Collins da dietro la spalla destra.
Tipica faccia da sbirro, con comportamenti adeguati, Collins. Quadrato, pelato, e stronzo quanto basta per ricordarti che la divisa la porta lui.
In quella cella si stava celebrando un inno allo stereotipo. Peccato che lui, Bateman, non avesse la possibilità di verificare se anche lui faceva parte della festa, con i suoi bravi occhioni assenti da manzo condotto al macello: un giudice qualche tempo prima aveva decretato che non poteva tenere uno specchio in cella, visto mai lo rompesse e usasse i vetri rotti per tagliarsi le vene.
Cosa potesse importare poi, a quel bravo padre di famiglia, delle modalità della sua morte, a Bateman non era dato sapere.
Sapeva solo che il giudice, come il governatore, il procuratore e il capo del carcere ci tenevano molto a che lui morisse con tutti i crismi, una scossa elettrica alle ore 24:00 del 14 ottobre 2007.
“Tutto indolore” gli aveva assicurato un secondino l'indomani del rigetto della sua domanda di grazia.
“Vorrei sapere chi cazzo te l'ha confermato, brutto stronzo”.
Disse Bateman accendendosi una sigaretta.
Si rese conto che stava parlando da solo, vergognandosene un poco.
Poi pensò che in fondo non aveva nulla di cui vergognarsi, e che anzi un bel monologo alle tre pareti e alla grata di ferro che gli avevano tenuto compagnia in quei tredici anni nel braccio della morte sarebbe stato un congedo molto più dignitoso della famosa ultima frase pronunciata davanti al boia con il dito già pronto sull'interruttore della sua vita, pronto a spingerlo in posizione OFF.
Aspirò di nuovo dalla sigaretta, e si girò verso la parete di destra, quella di fronte la sua branda, con la macchia d'umido su cui puntava lo sguardo ogni mattina, appena sveglio.
“Non crediate che abbia paura del dolore” disse a voce alta buttando fuori il fumo.
“E tantomeno della morte” la brace della sigaretta si accese ancora, nella penombra della cella.
“Semplicemente, tutto questo mi dispiace” sbuffò verso la parete di sinistra, quella con il tavolino pieno di libri, letti e riletti.
“Mi dispiace, e mi pare grottesco” ravvivando l'unica luce viva in quell'angolo di mondo.
“A chi serve ora la mia morte, a che cosa serve?” gridò ricevendo come unica risposta l'eco della sua voce nei corridoi vuoti.
“Forse serve a tutta questa brava gente qui fuori” guardando la punta della sigaretta consumata a metà.
“A farli sentire più sicuri” inalando il fumo che gli accarezzava le narici, con un'intimità che gli appariva come un sentimento del tutto nuovo.
“Forse il giudice che mi ha condannato, il governatore che mi ha negato la grazia, il poliziotto che mi accompagnerà alla fine, il boia che mi ammazzerà stanotte si addormenteranno sereni, convinti di aver fatto del loro meglio per rendere il mondo un posto migliore” avvicinando il filtro umido di saliva alla bocca.
“Hai finito di dir cazzate? Muoviti che è ora”. Disse Collins aprendo la cella.
“Ma... la mia sigaretta...”
“Avrai tutto il tempo per fumare davanti al buon Dio, magari spiegandogli le tue ragioni!”. Disse il poliziotto schiacciando la sigaretta nel posacenere, ammanettandolo e strattonandolo fuori dalla cella.
E questa è l'ultima immagine che ricordiamo di Patrik Bateman, strattonato fuori dalla sua cella per l'ultima volta.
Cosa gli accadde oltre quella soglia a noi non è dato sapere, possiamo solo immaginare.
Possiamo immaginare la sua impassibile freddezza abile a nascondere l'inquietudine di un uomo posto consapevolmente e legalmente di fronte alla sua morte, mentre gli viene bagnato il capo e gli vengono attaccati elettrodi su tutto il corpo.
Possiamo immaginare il suo sdegnoso rifiuto all'invito del boia a pronunciare le sue ultime parole, già affidate al fumo della sua ultima sigaretta.
Possiamo ma non vogliamo immaginare le contorsioni innaturali del suo corpo legato e immobilizzato percorso da una scossa di chissà quanti volt.
E purtroppo non possiamo immaginare la fredda professionalità del medico incaricato di tastargli il polso, alla ricerca di una qualche residua forma di vita.

Dopo che Bateman fu portato via restammo ancora un po' a contemplare la sua ultima sigaretta, schiacciata malamente dalle mani rozze del poliziotto, e non spenta del tutto.
Restammo affascinati a guardare come la piccola scintilla superstite si aggrappasse al più piccolo spuntone di tabacco, alla più misera strisciolina di carta per alimentarsi e rimanere in vita, proiettando in aria volute di fumo grigio-bluastro quasi a ribadire la propria sopravvivenza.
Restammo ancora un po' a guardare quei tristi arabeschi alla luce fioca e innaturale del corridoio.
Poi, all'improvviso, la luce sobbalzò, spegnendosi del tutto per qualche istante, sopraffatta da una calo di tensione la cui causa preferimmo ignorare.
Quando la luce tornò, la sigaretta era spenta, e a noi non rimase nulla più da guardare.


5 commenti:

Il Gabbrio ha detto...

Bello, molto equilibrato!!!
C'è un piccolo messaggio sociale dietro? ; )
Non sapevo di questo tuo blog...ti linko subito!!!

Stefano ha detto...

bè, l'idea di un blog di 'racconti' mi frullava in testa da un po', ma l'ho aperto solo due-tre giorni fa. grazie per il link, ricambio al volo!

rainwiz ha detto...

Molto Bret Ellis questo personaggio che si chiama Beatman...

Stefano ha detto...

Compagno Raffo, anche tu qui! che piacere!

Gisel_B ha detto...

capo, sai che sei davvero bravo!
:)