mercoledì 22 agosto 2007

Il sogno/1 - Parte Prima

Prima parte di un racconto ispirato da un sogno.




Una costruzione di mattoni, bassa, quadrata, a un piano solo, pochi metri per lato, un'entrata minuscola l'unica apertura. Era in mezzo a quel campo che aveva fatto e continuava a fare la fortuna di tutti i tombaroli della zona da tempi immemori, eppure nessuno sembrava mai averle dato una qualche importanza. In realtà il sentimento che nel corso dei secoli aveva tenuto lontani uomini e animali da quella strana costruzione non era l'indifferenza, bensì la paura.Alfredo, nato e cresciuto lì, se non assiduo quantomeno abituale frequentatore di quella necropoli etrusca, lo sapeva bene. Eppure si stava dirigendo proprio lì.
La notte era calda e di luna piena, il bosco e la radura sembravano deserti, a parte i normali rumori di un bosco di notte: grilli, foglie mosse da qualche alito di vento, altri animali attorno a lui. Ma mano a mano che il suo obbiettivo si avvicinava i rumori diminuivano d'intensità, sempre più lontani. Sapeva, Alfredo, che presto sarebbero cessati del tutto.
Era sempre stato così, quella costruzione dominava il pianoro chissà da quanti secoli, tozza e potente nelle sue linee semplici e arcaiche, senza che nessun essere vivente osasse avvicinarsi.
Nei paesi lì intorno erano sempre girate voci inquietanti al riguardo, e non si sapeva di nessuno che fosse entrato a curiosare.
Tanto meglio – pensò Alfredo – la totale ignoranza di ciò che lo aspettava quella notte era per lui un'immensa e folle fonte di speranza, l'unica che gli fosse rimasta.
Adesso tutto era avvolto da un silenzio irreale, innaturale per una notte d'estate. Tra lui e la vista della sua meta solo pochi cespugli.
Poi, all'improvviso, pochi attimi prima che la 'casupola' comparisse alla sua vista, un grido. Anzi, più che un grido, un suono inclassificabile, di origine se non umana quantomeno molto prossima, e tanto acuto da gelare il sangue e polverizzare le vene.
Un attimo, non di più, bastò a sopprimere l'istinto della fuga; gli ci erano voluti mesi a maturare il coraggio e la follia per tentare quell'impresa, e adesso non sarebbe stato certo un urlo o chissà cosa a fermarlo, tanto, tutto quello che aveva da perdere l'aveva già perso tempo fa.
Si fece coraggio e si affacciò.
Il terrore dovuto all'urlo fu nulla rispetto alla sorpresa di vedere un gruppo di persone proprio lì, davanti alla casupola dove lui in quasi trent'anni di vita non aveva mai visto nessuno. C'erano infatti tre ragazzi più o meno della sua età. La distanza – qualche decina di metri – gli impediva una chiara visione di quelli che, intimamente, aveva già percepito come compagni d'avventura, ma si rese subito conto che il gruppo aveva qualcosa di strano.
Di nuovo un suono molto simile all'urlo o quel che era di poco prima; capì che veniva da una ragazza, e che non era un urlo, bensì un aberrante tentativo di risata.
“Questa è proprio andata – disse ridendo, normalmente, uno dei ragazzi vicino a lei – misà che non la riprendiamo più!”.
“Shhht! Basta fare i cretini! È arrivato”. Disse un altro del gruppo, e, rivolto ad Alfredo, “Vieni, vieni, ti stavamo aspettando”.
Come era possibile? Non aveva detto a nessuno cosa aveva intenzione di fare quella notte, per paura di essere preso per matto. Eppure era certo di aver sentito bene, tant'è che un altro del gruppo lo esortò a farsi avanti a strani ma inequivocabili gesti.
Si avvicinò cercando di stare o quantomeno mostrarsi tranquillo, anche se non era facile: lo sguardo dei tre lo seguiva passo passo, e Alfredo lo sentiva come un macigno sul petto.
Definirli strani sarebbe stato poco: la ragazza dell'urlo stava a pochi metri da lui, lo guardava fisso, con uno sguardo che non avrebbe saputo se definire assente o idiota, curva, con le braccia a sfiorare il terreno, come una scimmia o un uomo primitivo.
Quello che l'aveva esortato a raggiungerli pochi attimi prima lo guardava sogghignando. Indossava dei pantaloni da cavallerizzo infilati in un paio di stivali di cuoio, che gli davano un inquietante aspetto da satiro. Dalla cintola in su era completamente nudo, salvo una piuma rossa che sembrava piantata al centro del suo cranio rasato e un filo da cucito che gli attraversava i capezzoli, il filo terminava nella cruna di un ago infilato nella carne all'altezza del costato.
La ragazza dell'urlo lo indicò con un dito, pronunciando parole gutturali, a lui incomprensibili.
“Cos'ha quella ragazza?”, chiese, la voce gli sembrò abbastanza ferma, sebbene fosse ancora più terrorizzato di prima.
“Oh niente, è stata via troppo tempo, e ha dimenticato come ci si comporta da queste parti, ma non pensare a lei, pensa a te” disse perentorio il tipo con la piuma in testa.
“Sì, giusto, che cosa ci hai portato eh? Cosacihaiportatocosacihaiportatocosacihaiportato?”, il tipo che lo aveva chiamato a gesti intervenne cantilenando e ballandogli intorno. Vestiva con una maglietta dei Lynyrd Skynyrd, sopra jeans consunti e anfibi muniti di speroni, che ogni tanto sbatteva facendoli tintinnare.
“Ma... io veramente non ho portato niente, non sapevo che....”
“Come non ci ha portato niente? Tu ci avevi garantito che....”, il cowboy rockettaro sembrava incazzato nero, ma stavolta ce l'aveva con il suo amico o quel che era.
“Stai zitto tu – decisamente il tipo coi capezzoli bucati doveva essere una specie di capo – ho detto che ci avrebbe portato delle cose, ma non che le avrebbe portate stasera”.
“Ehi un momento – si riscosse Alfredo - perché mai dovrei portarvi delle cose?”. Cominciava ad incazzarsi, adesso, quei tre avevano tutta l'aria di essere lì per rovinare i suoi piani.
“Perché noi siamo gli unici che ti possiamo aiutare, Alfredo”.
Bene, Piuma-rossa sapeva pure il suo nome. “Ah sì? E come? E soprattutto, per cosa mi potreste aiutare? Io non vi ho chiesto niente”.
“Non ci hai chiesto niente, ma sappiamo benissimo cosa vuoi” - Piuma-rossa si fermò per accendere una pipa - “Tu vuoi guarire”.
“Guarire? Ma io non sono malato”. Disse Alfredo sempre più incazzato.
“Come no, come è che si dice da voi? Come ti disse quel dottore? Ah sì, male incurabile. Caro Alfredo, tu hai un male incurabile”.
“No! Non io, non io!” disse Alfredo, che adesso si sentiva mancare la terra sotto i piedi. La voce del tipo era cambiata mentre parlava, quando aveva detto 'male incurabile' aveva sentito la stessa voce del medico che gli aveva spezzato il cuore, molto tempo fa.
Lacrime calde cominciarono a scorrergli sul viso, “non io, non io...” continuava a ripetere.

(continua...)

4 commenti:

Il Gabbrio ha detto...

ben costruito, equilibrato e stuzzica molto la mia curiosità...bravo Sté!!!

Anonimo ha detto...

ancora devo leggere i tuoi nuovi pargoli letterari...ma prova a postarti un commento per vedere se funziona.
Ciao
Paolo, ricco per un solo mese.

Gisel_B ha detto...

auff! ma hai scritto tanto! mi riprometto di leggerti con calma e so che ne vale la pena, non per niente sei il mio capo preferito! bacio ciccino :)

Stefano ha detto...

gisel, non è mai abbastanza purtroppo!