lunedì 30 luglio 2007

Due amici

Il mio primo (e finora ultimo) racconto noir. Lo scrissi due anni e mezzo fa, per partecipare al concorso 'RomaNoir 2005'. Arrivai ottavo su circa 60-70 partecipanti. Ne fui contentissimo, anche se oggi, dopo un anno e mezzo di copywriting e cinque libri, forse lo scriverei in maniera diversa.

Bussai a casa di Luca alle 9 di mattina, dopo una nottata terribile passata in caserma.
Mi aprì la madre, in vestaglia.
“Giulio! Che piacere! Entra dai.”
Erano più di sei mesi che mancavo dalla casa del mio migliore amico, ma tutto mi sembrava estremamente familiare, come era sempre stato.
“Sei qui per Luca vero? Dorme ancora, gli stavo portando il caffè. Ne verso un po’ anche per te e poi glielo porti tu”.
Mi diressi verso la sua stanza con i caffè. Mi fermai davanti la porta. Proprio dove era finita la nostra amicizia.
Sei mesi fa, un mese dopo l’incidente in cui era morta Angelica, la ragazza di Luca. Travolta dal fuoristrada di Mario Iorio, compaesano noto per la predisposizione al bere e il vezzo di vestirsi sempre allo stesso modo: camicia bianca su jeans neri.
Avevo cercato di fargliela pagare, ma, grazie ai suoi appoggi, ne era uscito pulito.
“Ti credevo il mio migliore amico” ringhiò Luca gelido “invece non sei nemmeno riuscito a sbattere in galera l’assassino della mia ragazza. Ci penserò io a fare giustizia” gridò, sbattendomi la porta in faccia. Non l’avevo più visto.
Tornai da lui solo quella mattina, subito dopo aver arrestato Iorio per l’omicidio di sua moglie.
Era stata uccisa tre sere prima. Nel suo letto. Un delitto orrendo, che aveva sconvolto il nostro piccolo paese. Seimila anime nel cuore della campagna laziale.
Tutte le prove erano contro il marito, lui si dichiarava innocente, e io sapevo che aveva ragione.
Non ne avevo parlato con nessuno.
Fino a quel momento.
Entrai nella stanza di Luca.
Era sveglio.
“Che cazzo ci fai qua” buon inizio, credevo mi avrebbe mandato a quel paese.
“Ti ho portato il caffè” risposi.
Bevvi il mio d’un fiato. Lui iniziò a sorseggiare il suo. Non gli era mai piaciuto il caffè bollente.
“Ho arrestato Iorio, stanotte, per l’omicidio della moglie”.
Silenzio.
“Perché l’hai uccisa?” non mi sono mai piaciuti i giri di parole.
Rise.
“Lo sai benissimo.”
“Ma che c’entrava lei?”
“Iorio doveva provare quello che ho provato io. E finire in galera.”
“Quindi ammazzi la moglie. Per di più dopo essertela scopata.”
Rise di nuovo. “Mi hai riconosciuto dal filmino? Nonostante la maschera?”
“Quel neo orrendo sulla pancia.”
“In realtà è stata lei a cercarmi. Era una gran troia. Le piaceva farsi filmare mentre scopavamo. Quella sera mi mascherai - per gioco, le dissi - in realtà per evitare di essere riconoscibile. La ripresi mentre mi faceva un pompino, di spalle, con il suo tatuaggio da zoccola in evidenza, così che fosse identificabile. Due giorni dopo l’ho uccisa.”
“Avevi le chiavi immagino”.
“Ho aspettato che si addormentasse. Voleva vedermi quella sera, il marito era al bar ad ubriacarsi, ma ho inventato una scusa per non lasciare troppe tracce in giro. Indossavo dei guanti, e vestiti e scarpe del marito.
“L’hai sgozzata nel sonno.”
“Mi sono cambiato, attento a non sporcare. Sono andato in soggiorno, ho messo su il video, tre ore dello stesso pompino.”
“Un movente perfetto.”
“Sono uscito. Ho aspettato nascosto in giardino che lui rientrasse, per nascondere il coltello e i vestiti. Poi sono scappato per i campi”.
“Prima di uscire però, hai lasciato il libro sul divano.”
“Per te”. Rispose compiaciuto.
Ci guardammo in silenzio per alcuni minuti.
Poi ci sorridemmo, eravamo tornati amici.
“Beviamo una birra stasera? O sei venuto ad arrestarmi?”
Rideva. Sapeva bene che non l’avrei mai fatto.
“Passo a prenderti alle dieci” risposi uscendo.
Tornando a casa pensai al libro.
La lettera rubata di Edgar Allan Poe. L’avevo prestato a Luca anni fa, e non me l’aveva mai restituito.
Ne era rimasto folgorato.
“Ho trovato finalmente un modo per nascondere le sigarette a mia madre” diceva entusiasta. “Se le metto sotto la sella del mio motorino non le troverà mai, un posto troppo ovvio!”
Avevo riconosciuto subito il mio libro sul divano di casa Iorio. Per me, dopo il video, era una firma inequivocabile: nel bagagliaio del fuoristrada di Iorio c’erano una camicia bianca, dei jeans neri e un coltello, ancora grondanti il sangue della vittima.


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