mercoledì 31 ottobre 2007

La bambina




La bambina era lì, ai piedi del letto. Era una bella bambina, con lunghi riccioli rossi che le scendevano sulle spalle, occhi azzurri e il viso pieno di lentiggini. Non fosse stato per quei lacrimoni che le rigavano il faccino lui l'avrebbe considerata una piacevole apparizione notturna. Invece quello sguardo gli pesava in petto come un macigno.
“Chissenefrega – pensò – è soltanto un sogno, solo un sogno e nulla di più”.
Ma la bambina restava lì, immobile, e lui non riusciva a chiudere gli occhi né tantomeno a distogliere lo sguardo.
Stava per darsi un pizzicotto, un morso sulla lingua, una capocciata al muro, qualsiasi cosa per svegliarsi, quando la bimba si mosse.
Alzò la mano, puntando l'indice contro di lui, e il suo cranio cominciò a deformarsi: la tempia destra si spostò repentina verso il basso mentre l'occhio fuoriusciva lentamente dall'orbita per cadere a terra con un disgustoso rumore liquido, e dove prima c'erano solo riccioli rossi si apriva uno squarcio rosso.
Lui rimase senza fiato, la bocca era spalancata ma i polmoni non pompavano abbastanza aria per gridare.
Poi, così come era apparsa, la bambina sparì, i suoi polmoni tornarono a regime e quello che doveva essere un grido si trasformò in un rumoroso sospiro.
Accese la luce, tutto era in ordine. Nessuna traccia di bambine né di teste implose o occhi schizzati dalle orbite.
“Un brutto sogno... già... sono stanco... nervoso...” pensò di ripiombare nel sonno.
La mattina successiva il sole e il traffico di Roma contribuirono a far sparire del tutto gli ultimi residui di una più che comprensibile inquietudine.
Continuava a pensare a quella bambina, questo sì, ma in maniera fredda e razionale.
“La stanchezza, la paura per questo dannato serial killer, sì... deve essere per questo che ho fatto un sogno così strambo... ma perché poi una bambina? Mah... poverina poi... la stessa fine orribile di tutta quella gente... e del povero Mattia...”
Mattia, il suo migliore amico, vittima con altre 48 persone del “serial killer delle teste sfondate”, come lo aveva ribattezzato un giornalista privo di fantasia ma con un notevole senso dell'horror a colmare il gap. Un pazzo che ammazzava la gente con un ciocco di legno di quercia, come aveva appurato la polizia. Un colpo solo, secco, sulla tempia destra, a sfondare il cranio e via, nel nulla da dove era venuto, visto che non lasciava mai nessuna traccia. Aveva ucciso per strada, nelle camere da letto, in ascensore, nei boschi senza che nulla - un'impronta, un capello, uno schizzo di sangue o saliva - di non appartenente alle vittime fosse mai rinvenuto. In pratica, a Roma e dintorni, vivevano tutti nel terrore, visto che le vittime non avevano niente in comune tra loro.
Pensieri foschi, mentre il tram traballava non troppo spedito verso la stazione Termini.
All'improvviso, come un flash, di nuovo la bambina.
Sorridente, le mani dietro la schiena, la testa inclinata da un lato, i piedini incrociati.
Indiscutibilmente lei, sul giornale del tipo alla sua destra.
Si sporse per leggere meglio, era una pagina di necrologi.
“Ahò che cazzo voi! - lo apostrofò il compagno di viaggio – Anvedi questo, guarda che 'sto giornale lo danno aggratis, pijatelo pure te si lo voi legge, sennò vattene affan...”
Non sentì la prevedibile fine della frase. Il tram si era fermato vicino a una fermata della metro, lì avrebbe trovato il giornale che quel tipo aveva in mano.
Si fiondò per le scale urtando un bel po' di persone, corse fino alla rastrelliera ma... finito. Il giornale non c'era più. D'altronde a quell'ora di lì erano già passate decine di migliaia di persone.
“Pazienza – pensò – di farmi tutta la linea A per rimediare una copia non se ne parla, però oggi niente università. Vado da Valentina.”
Valentina, la sua ragazza. Casualmente abitava a poche centinaia di metri dalla metropolitana. L'aveva conosciuta insieme a Mattia, proprio un anno prima, in treno. Bella ragazza, allegra, disponibile, aveva filato un po' con tutti e due, poi lei aveva scelto lui, e Mattia non se l'era presa più di tanto.
Arrivò sotto al suo portone, una folla impediva l'ingresso, accalcata attorno a un cordone di carabinieri. Si fece largo a spintoni.
“Che succede qui! Fatemi passare!” gridò.
“Chi è lei? Vive qui?” gli chiese il carabiniere più vicino.
“No, ci abita la mia ragazza che succede?”
Il carabiniere abbassò lo sguardo.
Balbettò qualcosa, poi arrivò la barella.
Steso sulla lettiga, un corpo coperto da un lenzuolo bianco. I capelli biondi che cascavano fuori gli spiegarono tutto, così come la forma innaturalmente deformata della testa che si intuiva sotto il lenzuolo.
Un conato di vomito gli risalì l'esofago. Corse via, entrò nel primo bar fiondandosi in bagno. Vomitò, gli sembrò di riprendersi, un poco.
Poi dei singhiozzi, alle sue spalle.
Si girò.
Ancora la bambina.
Era nell'angolo vicino la porta, le mani lungo i fianchi e il corpicino scosso dai singhiozzi. Il cranio orrendamente deformato e un'orbita vuota, grosse lacrime dall'unico occhio.
“Non voglio... non voglio... io non sono cattiva...”
Lui deglutì, cercando qualcosa da dire o da fare, ma riusciva solo a stare immobile, senza dire nulla.
“Ho disobbedito... ma non l'ho fatto apposta... io non sono cattiva...” continuava a ripetere tra i singhiozzi.
“Ma... che cosa stai dicendo? Io non ti conosco, non ti capisco...”
“Io non sono cattiva...” come un mantra, senza curarsi delle sue parole.
“E-ehm” alle sue spalle.
Una donna dal volto ossuto, rinsecchito, la pelle giallastra tirata sugli zigomi e la mandibola, le labbra consunte, due occhi troppo grandi per quel volto ridotto ai minimi termini. Il corpo spigoloso avvolto da un mantello nero.
“E tu chi sei? Che ci fai qui?” le chiese lui, confuso e terrorizzato. La bimba alle sue spalle continuava a piangere e mormorare.
“Povera piccola, ha ragione, lei non ha nessuna colpa – continuò la donna, senza rispondere alla sua domanda – anzi, dovresti anche esserle grato, in fondo ti ha regalato un anno esatto di vita”.
“Ma cosa cazzo stai dicendo? E chi cazzo siete voi due? Io esco da qui!” si avvicinò alla pporta badando bene di non toccare la bambina. Lei lo guardò, e scosse la testa.
“Non puoi, non puoi... mi dispiace...”
Lui non ci badò più di tanto, allungò la mano verso la maniglia della porta, sentendo solo legno liscio. Guardò in basso, la maniglia non c'era più. La porta era un unico rettangolo di legno plastificato bianco; senza serratura, maniglie, cardini sembrava un tutt'uno con le mura del bagno in cui si trovava.
“Un anno esatto fa, stava giocando sul bordo di una grossa strada, disobbedendo ai genitori – i singhiozzi della bambina aumentarono, mentre la donna continuava a parlare – la sua palla finì sull'asfalto, e lei, senza pensarci due volte, scavalcò il guard rail per andare a prenderla”.
La bambina adesso gridava a perdifiato, lui avrebbe voluto abbracciarla, consolarla, ma quel buco in testa e quell'orbita vuota erano troppo. “Ma come è possibile che da fuori non si accorgano di niente? - pensò – e io come faccio a venir fuori di qui?”
“Arrivò una macchina, a tutta velocità, la prese in pieno e la mandò a sbattere contro una quercia che stava a bordo strada, il risultato lo puoi vedere da te”
Le urla della bimba ora erano insopportabili, si fece forza e le prese una manina, fredda, come un ghiacciolo, però i singhiozzi rallentarono, un po' almeno.
“L'uomo che la investì perse il controllo della macchina e uscì di strada, morto anche lui”.
“Sì ma io cosa c'entro?” chiese per la seconda volta.
“Quell'uomo era un terrorista, nel bagagliaio aveva una borsa piena di esplosivo. Avrebbe preso un treno e si sarebbe fatto saltare in aria in mezzo ai passeggeri. Sarebbe morto con altri 50 passeggeri. Su quel treno viaggiavi anche tu, con il tuo amico e la tua futura fidanzata.”
“Quindi...”
“Sì. Dovevate morire, e io sono qui per rimediare” la donna lo interruppe bruscamente. Poi alzò un braccio puntando un dito vero di lui. La bambina riprese a gridare.
Lui sentì dapprima un fortissimo dolore sulla tempia destra, poi qualcosa cominciò a premere sulla base del collo. Il dolore divenne insopportabile mentre sentiva il suo occhio destro scivolare a terra tirandosi dietro un fiotto di sangue.
Il pavimento impiastricciato del suo sangue fu l'ultima cosa che vide.
Poi, più nulla.

6 commenti:

Anonimo ha detto...

Ho deciso, non ho più dubbi: sei Dylan Dogghiano.
Ste pensaci sul serio, questa storia sarebbe stata perfetta per un fumetto figo.
anche se un bel mediometraggio, ampliata la storia e abbassato il numero dei morti, non sarebbe stato male...pensaci.
Bravo
Paolo

Stefano ha detto...

compagno di maio, sempre gentilissimo!
per i fumetti chissà... magari prima mi dai qualche lezione di sceneggiatura!

Gisel_B ha detto...

bello... sei forte capo!

Stefano ha detto...

gisél!
grazie!

Il Gabbrio ha detto...

Ah, scusa il ritardo, ma mi piace leggere le cose con calma e gustarmele ed in questa settimana ho avuto troppo da fare...
Che dire, sempre bello e lineare, storia intrigante...ma ultimamente propendi per morti ammazzati, sangue e affini oppure è sempre così?

Grazie per i complimenti!!! ; )

Stefano ha detto...

ultimamente va così! che ne so? sarà il tempo ;-) o forse nostalgia del vecchio dylan, quello di quando eravamo compagni di scuola!