giovedì 25 ottobre 2007

Ghost Hunting!

I ghost hunters non sono altro che moderni cacciatori di fantasmi. Molto lontani dai ghostbusters del cinema, si recano in luoghi che hanno fama di essere infestati con l'unico scopo di osservare fenomeni paranormali, spesso con l'aiuto di mezzi tecnologici come ad esempio telecamere o rilevatori di temperatura.


Hai mai fatto ghost hunting?”.
Glielo chiese così, tra un sorso di vino e un tiro di sigaretta, giocherellando con i suoi lunghi capelli neri.
Lui d’altronde non si scompose più di tanto, anzi. Da circa due ore parlavano a ruota libera tra i fumi del vino e delle dozzine di sigarette fumate, e quella, tra due appassionati di horror ed esoterismo come avevano appena scoperto di essere, era solo una domanda come un’altra, che lui peraltro le aveva chissà quanto involontariamente imboccato, chiedendole, pochi istanti prima “ma tu ai fantasmi ci credi per davvero o ti piace solo vederli al cinema?”.
“Io ci credo per davvero” aveva risposto lei sicura, e da lì, erano arrivati al ghost hunting.
“No, non l’ho mai fatto ma mi piacerebbe provare, prima o poi, ma finora non ho trovato nessuno disposto a passare una notte in qualche posto abbandonato da dio e dagli uomini in attesa di qualche lenzuolo svolazzante”. Lo disse noncurante e strafottente il giusto, non con un tono da ‘uomo che non deve chiedere mai’ ma abbastanza vicino, questo sì. In realtà fino a quel momento non era mai andato a caccia di fantasmi semplicemente perché aveva una paura fottuta, forse perché era cresciuto ascoltando ‘ghost stories’ dalle persone che amava di più, e che per di più asserivano di averle vissute in prima persona o quasi.
Tuttavia i riflessi rallentati dal vino e dall’ora che si faceva sempre più tarda lo avevano portato a quella risposta banale e stereotipata, ‘proprio quello che lei voleva dicessi’ pensò lui.
“Ma dai! È fantastico! Neanch’io sono mai riuscita a trovare qualcuno disposto a passare una notte intera con me in qualche casa abbandonata!”.
La velata allusione che colse maliziosamente in questa risposta non servì molto a tirargli su il morale, anzi. Intuì subito dove lei voleva arrivare e rabbrividì.
“Perché una sera di queste non andiamo da qualche parte? Qui intorno è pieno di luoghi infestati!”
“Ehr… sì… mi pare una buona idea! Però il posto lo decido io, ne ho giusto uno che ci viene comodo comodo”.
“Ah sì? E di che posto si tratta?”.
“È il vecchio palazzo di famiglia, vecchio di secoli in cui adesso abita solo un vecchio zio di mio papà. Lì pare che di fantasmi ce ne siano a dozzine”.
“Maddai! Del tipo? Raccontami qualche storia!”
“Bè… ad esempio… si dice che di notte per le scale si sentano dei passi… passi di donna sai, di scarpe col tacco insomma…oppure… in alcune stanze della casa non si è mai riusciti a dormire a causa di.. rumori.. sospiri… senso di soffocamento, in una in particolare… si dice che a un certo punto sentivi qualcuno che ti saltava sul letto…”. Era indeciso se raccontare anche la storia che girava più spesso s quelle vecchie mura, e di cui un paio di vecchie zie erano le ultime testimoni dirette. In famiglia se ne parlava poco e sempre malvolentieri, ed era un argomento considerato tabù quando c’erano estranei nei paraggi. Per fortuna l’entusiasmo della sua amica lo tolse dall’imbarazzo.
“Sembra fichissimo! Quando si va?”.
“Non saprei… così… all’improvviso…”
“Lunedì prossimo secondo me va bene”. Lei tagliò a corto facendogli un occhiolino. A quel punto lui, ripassate velocissimamente le possibili scuse, potè solo acconsentire.
“Sì va bene, lunedì prossimo va bene”.
Chiaramente mettere al corrente la famiglia di quel proposito era fuori discussione. Ma questo comunque non sarebbe stato un grosso problema, lui aveva le chiavi del portone e conosceva un paio di modi per entrare anche attraverso il cortile, forzando vecchie finestre o infilandosi in qualche cunicolo. In quanto al vecchio zio poi, quello che ancora viveva lì, in quel periodo era fuori per un lungo viaggio intorno al mondo. Insomma, nessuno avrebbe mai saputo nulla.
Il lunedì successivo lui trascorse la giornata in attesa febbrile di quella notte. La paura era sparita quasi del tutto, soppiantata da un’eccitazione febbrile all’idea di indagare finalmente e magari assistere a quei fenomeni di cui aveva sempre sentito parlare, ma che a casa sua erano vissuti come una cosa di cui vergognarsi. E poi, diciamolo pure, l’idea di passare una notte intera in stanze buia con lei gli garbava davvero. Gli era piaciuta da subito, e aveva anche impressione che la cosa fosse reciproca. Però un po’ per timidezza, un po’ per endemica inettitudine nei rapporti con l’altro sesso, non aveva mai fatto nulla per andare oltre una sporadica frequentazione condita da vino e sigarette ad accompagnare lunghe chiacchierate sul più e sul meno.
Si ritrovarono puntuali a poche centinaia di metri dal palazzotto di famiglia, un solido quadrilatero di tre piani, appoggiato a una vecchia torre di avvistamento, l’ultima rimasta in piedi tra tutte quelle attorno cui si sviluppavano le mura cittadine, anche questa compresa tra le proprietà di famiglia. Lui decise di passare proprio attraverso la torretta per entrare nel palazzo, non perché fosse l’unica via, ma perché sicuramente era la più suggestiva. Da lì, attraverso un minuscolo cunicolo che anche in famiglia conoscevano in pochissimi, si arrivava dritti dritti nel salone principale del primo piano, quello che per secoli era stato il salone delle feste, e che ora era pressoché abbandonato, usato solo in rare occasioni. Passaggi come quello si trovavano in quasi tutte le stanze del palazzo, retaggio di un’epoca in cui pirati e predoni imperversavano e bisognava ingegnarsi per salvare la pelle. Alcuni erano noti ma molti altri no, chiusi definitivamente da vari lavori di ristrutturazione oppure semplicemente dimenticati.
“Però, che lusso!”, commentò lei. Alla luce della luna che entrava dalle finestre si scorgeva una sala enorme, piena di specchi e dominata da un immenso camino in cui era possibile entrare in piedi, e che secoli prima aveva riscaldato le innumerevoli feste che lì si tenevano. Adesso un pesante tavolo di legno in mezzo alla sala faceva intendere che l'uso di quello spazio era decisamente diverso. Qualche cena tra notabili e poco altro, anche per le feste comandate la famiglia usava accomodarsi in un salone del piano superiore.
“Chissà quante feste qui...” continuò lei, camminando tra i mobili del '700.
“In verità non lo usiamo quasi mai, solo quando è proprio indispensabile... sai com'è... anche qui succedono cose strane...” rispose lui.
“Ma davvero? E non mi dici niente? Racconta dai!”, lei lo interruppe con entusiasmo.
“L'altra volta non ne ho avuto il tempo... e poi è una cosa che non raccontiamo molto in giro...”
“E dai! Non farti pregare, d'altronde m'hai portato qui apposta per vedere i fantasmi... o no?” disse lei, e lui lesse in quel 'o no' e in quello sguardo languido una neanche troppo velata allusione. Tuttavia si accomodò sul divano come se niente fosse, e cominciò a raccontare.
“In passato qui si tenevano delle feste bellissime. Venivano nobili da tutte le città vicine, alcuni addirittura facevano viaggi di ore ed ore pur di essere presenti. Ogni occasione era buona per una festa, e si dice che molte importanti decisioni politiche venissero prese nei salottini del piano di sopra, mentre qui si gozzovigliava”.
“Addirittura! E cosa si faceva in queste feste?” disse lei, tenendo tra le labbra socchiuse due dita.
“Mah... sai... ufficialmente si ballava... ma si dice anche che girasse roba... assenzio, coca, oppio... e poi che insomma, spesso e volentieri si finiva ammucchiati... non so se mi spiego...”
“Sì che ti spieghi...” disse lei accucciandosi sulla sua spalla. Mise mano alla borsetta e tirò fuori una canna già bell'e rollata. “A proposito di roba... ti va?”.
“Bè... perché no? La notte è lunga...”
“Sì... molto lunga...” disse lei accendendo il bombone, tondo e cicciotto, gonfio di marijuana.
“E poi… la storia delle feste è andata avanti molto a lungo, credo addirittura per un secolo, forse più” continuò la storia, prendendo tra le dita la canna che nel frattempo lei aveva acceso. “fino a quando, ottant’anni fa circa, non successe un dramma”.
“Un dramma? In una festa del genere? E cosa mai poteva succedere? Qualcuno andò in coma etilico? O in overdose?”, disse lei riprendendosi lo spino. Fumare le metteva sempre allegria.
“Era la festa per il ‘debutto in società’ di tale Annina, “ lui continuò imperterrito, ignorando del tutto la battuta. “La zia di mia nonna o qualcosa del genere. A un certo punto, qualcuno lanciò l’idea di giocare a nascondersi nelle stanze dietro questo salone. Passarono ore, come puoi immaginare, probabilmente qualcuno lo prese come pretesto per appartarsi”.
“Eh-eh” lei rise, ripassandogli la canna.
“Fatto sta che molte ore dopo si accorsero che Annina non c’era più. Tutti gli invitati che erano ancora in casa, o almeno quelli che ancora si reggevano in piedi, cominciarono la ricerca, guardarono dappertutto, nelle cantine, nelle soffitte, in tutti i passaggi segreti di cui all’epoca si era a conoscenza, anzi, quella notte, durante la ricerca, ne scoprirono addirittura di nuovi, di cui si ignorava l’esistenza”.
Fece una pausa per tirare due lunghe boccate.
“E… e poi… la ritrovarono?” glielo chiese con voce tremante. La storia drammatica, il buio, il freddo, le stavano facendo passare il buon umore.
“La ritrovò una domestica, la mattina dopo. Si era chiusa in un baule che si apriva solo dall’esterno, ed era morta soffocata”.
“Ma… ma… è una storia orribile! Perché me l’hai raccontata?”. Adesso con le dita tomentava i suoi lunghi capelli.
“Perché da allora in molti hanno sentito musica venire da questa sala, e qualcuno ha addirittura visto della gente ballare. Addirittura molti dicono di aver visto tra questi la povera Annina”.
“E… e tu? Hai mai visto o sentito qualcosa?”
“No, io mai. Però anche mio zio, quello che ancora vive qui, dice di aver sentito spesso la musica venire da qui, di notte”.
“Oddìo… e ancora ha il coraggio di dormire qua?”, adesso la voce le tremava dalla paura.
“Bè sai, è casa sua, è nato e sempre vissuto qui. E poi – aggiunse ridacchiando – dice sempre che i fantasmi che sono qui sono pur sempre nostri parenti, e quindi non c’è nulla da aver paura”.
“Sarà, però adesso ho davvero paura.”
“Se vuoi possiamo andare via… non ti preoccupare, magari torniamo un’altra volta”. Lo disse con troppa sollecitudine. In realtà moriva di paura anche lui. Quel salone lo aveva sempre inquietato, e non solo per la storia di Annina. Quel camino enorme, da cui si apriva la cappa, un immenso buco nero di cui non si vedeva fine, e che inghiottiva famelico le grosse fiamme dei fuochi accesi lì; tutti quelli specchi, che creavano strani giochi di riflessi e di ombre; le porte poi… che portavano nel dedalo di stanze e camerette e passaggi segreti dietro la sala… tutto contribuiva a rendere inquietante quel posto. Anche per lui, che in quella casa aveva passato praticamente tutta l’infanzia e che, come diceva suo zio, era tutto sommato parente stretto delle inquietanti presenze che si aggiravano in quei luoghi.
“Ma che scherzi?” rispose lei, buttando il mozzicone della canna, ormai spenta, nel camino. “Ho paura sì, ma d’altronde siamo qui a caccia di fantasmi. E poi… chissà, potrebbe non succedere nulla, almeno di quello che ci aspettiamo noi”, e si accucciò di nuovo sulla spalla del suo compagno d'avventura.
Peccato che lui in realtà, per quanto apprezzasse molto la maria, non fosse poi questo gran fumatore. Pochi minuti la fine del suo racconto infatti, per effetto della canna, si addormentò quasi di colpo, piegato sul bracciolo del divano con lei appoggiata sulla schiena, ancora spaventata ma adesso soprattutto seccata per l'effetto imprevisto che la fumata aveva avuto sul suo compagno d'avventura. Per sua fortuna in pochi minuti il sonno vinse l'inquietudine e si addormentò anche lei, di un sonno pesante, nero, senza sogni.
Il suo compagno al contrario dormiva agitato, non che stesse avendo degli incubi veri e propri, più che altro nel sonno aveva come dei 'flash' di immagini e sensazioni negative.
All'improvviso però immagini e sensazioni cessarono, lasciando spazio a una musica che veniva da chissà dove. 'È un valzer' pensò nel sonno, 'ed anche suonato molto bene'. Convinto di sognare aprì gli occhi e trasalì. Era sempre nel salone della casa di famiglia, solo che adesso lui e la sua amica, che dormiva accanto a lui, non erano più soli: decine e decine di persone vestite a festa affollavano la sala, illuminata da tre grossi lampadari e numerosissime candele. Al centro del salone molte coppie ballavano, altri invece chiacchieravano tra di loro seduti o in piedi, mentre molti invece entravano e uscivano.
'Non può essere' pensò 'è l'effetto delle chiacchiere e della canna, non c'è altra spiegazione'. Neanche il tempo di finire il pensiero, e una donna lo vide e gli parlò.
“Ma qui abbiamo altri ospiti. Meno male, questa festa finora è stata una vera delusione”. Indossava un lungo abito scuro con il collo di pelliccia e un'ampia scollatura, da cui si intravedevano i seni tondi e sodi. Il viso era incorniciato da capelli nerissimi tagliati a caschetto, tra le labbra un bocchino con una sigaretta accesa.
Gli si avvicinò, gli prese il viso tra le mani e lo baciò.
Fu un bacio profondo, sensuale, appassionato, e per lui fu facile lasciarsi andare. Si sentiva ancora intorpidito dal sonno, ma al contempo eccitato, come capita a volte sognando.
'Al diavolo è solo un sogno', pensò lasciandosi del tutto andare. Rotolò giù dal divano avvinghiato alla donna, e in men che non si dica si ritrovarono seminudi, nel mezzo di un amplesso furibondo. Sentì a un tratto gemiti e rumori inequivocabili provenire dal divano, guardò e vide la sua amica completamente nuda, gli occhi chiusi, la bocca aperta in lunghi gemiti appassionati, a cavalcioni su qualcuno che dalla sua posizione non riusciva a vedere.
Guardò sulla parete opposta, curioso di sbirciare la scena da uno specchio, e trasalì.
Tra le gambe lunghe e bianche della sua amica c'era un cadavere.
La pelle consumata, il bianco delle ossa che spuntava qua e là, il tutto reso ancora più orrido dai movimenti inequivocabili con cui quell'essere entrava e usciva dal corpo della ragazza che poco prima dormiva sulla sua spalla.
'Non mi piace più questo sogno, mi voglio svegliare' pensò, strizzando forte gli occhi, ma quando gli riaprì tutto era come prima. Fece per tirarsi su di scatto, ma scivolò e battè la testa sul pavimento. Il dolore gli annebbiò la vista, e toccando il punto che aveva battuto si bagnò le mani di sangue. Il dolore era reale, il sangue anche, ormai doveva essere sveglio ma la scena intorno a lui non cambiava: la gente continuava a muoversi nel salone, chi ballava, chi beveva, in qualche angolo vedeva altre coppie piacevolmente impegnate e la sua amica continuava imperterrita e forse ancora più coinvolta a cavalcare quel corpo immondo, in putrefazione.
Gridò.
La ragazza si interruppe, distratta dal grido, guardo l'amico e gridò a sua volta, guardandosi intorno.
Una rapida occhiata, e il ragazzo sentì un nuovo urlo nascergli in gola: la donna con cui pochi attimi prima si rotolava in terra, le coppie dei ballerini, i suonatori, tutti erano dei cadaveri ambulanti.
Trovò il coraggio per andare dalla sua amica e stringerla tra le braccia, maledicendo il momento in cui gli era venuta la malsana idea di andare in quella sala di notte.
“Che peccato, che peccato...” disse accorato l'essere che poco prima gli era apparso come una splendida donna. “avete capito tutto. Se vi foste lasciati andare sareste morti al culmine del vostro piacere, senza accorgervi di nulla. Adesso invece purtroppo sarete coscienti della vostra morte, e non sarà una cosa piacevole”.
La ragazza gridò di nuovo, iniziando a singhiozzare.
Lui cercò invece di conservare un minimo di sangue freddo. Deglutì, accarezzandole i capelli, e disse “perché... perché volete ammazzarci? Noi non abbiamo fatto niente di male!”.
“Forse no”, rispose un cadavere panciuto, vestito di una giacca di velluto che a suo tempo doveva essere stata molto elegante, ma adesso era tutta smangiucchiata. “Ma siete degli intrusi qui, e per questo dovete morire, mi dispiace ma è la nostra regola”.
Il ragazzo ripensò alle parole dello zio e decise di tentare. Era un'idea folle, certo, e anche un po' stupida, forse, ma al momento non ne aveva di migliori. “Un momento, io non sono un intruso, questa è casa mia, della mia famiglia”. E snocciolò nome, cognome, e tre o quattro generazioni che ricordava dall'albero genealogico appeso nell'androne d'ingresso.
Gli esseri si guardarono basiti, mormorando tra di loro. Uno strano figuro con grossi 'favoriti' attaccati non si sa come alla pelle marcia del viso si girò alla sua destra e disse “Annina, credi che sia vero?”.
Dalla folla venne avanti quella che doveva essere stata, in vita, una bellissima donna: alta, slanciata, con portamento aristocratico e lunghi capelli biondi che accarezzavano la fronte e il viso putrefatti.
“Potrebbe essere, d'altronde hai un aspetto familiare tu” rivolta al ragazzo, e poi, parlando alla folla “Ha ragione, lui non può essere ucciso”.
Il ragazzo tirò un sospiro di sollievo, ma durò pochissimo.
“Questo però non vale per la tua amica”.
La ragazza sussultò tra le sue braccia, emettendo uno strano verso che doveva essere un urlo strozzato.
“Un momento, come sarebbe a dire? Lei è mia ospite!”.
“Ragazzo, non tirare troppo la corda”. Disse minaccioso il tipo coi baffi.
“Ha ragione” aggiunse Annina “Possiamo risparmiare te, ma la tua amica non ha diritto di stare qui. Però è anche vero che è tua ospite, quindi le daremo una possibilità”.
La folla di morti viventi mormorò sorpresa.
“Nasconderemo la tua amica nel palazzo, e tu avrai tempo fino all'alba per ritrovarla, se non ci riuscirai, lei resterà qui con noi per sempre”.
Il ragazzo aprì bocca per ribattere, ma non ne ebbe modo.
Si ritrovò da solo nella sala buia e abbandonata, come era stata fino a poco prima.
Nell'oscurità echeggiò ancora la voce di Annina.
“Hai tempo fino all'alba per ritrovare la ragazza, poi resterà con noi”.
La stanza fu attraversata da una ventata gelida, poi tornò il silenzio più assoluto.
Il ragazzo si guardò intorno, cercando di convincersi che si trattava solo di un sogno, di un'allucinazione, che lui era lì per caso e che ora sarebbe tornato a casa sua, a dormire. Per terra però c'erano i vestiti della sua amica, la borsa che aveva con sé quella sera. Preso dal terrore saltò giù dal divano e spalancò la prima porta che trovò sul suo cammino.
Prese a vagare per sale e corridoi, percorse i passaggi noti e ne scoprì altri, da tempo dimenticati. Percorse in lungo e in largo soffitte e cantine, scalinate e ballatoi, guardò negli angoli, nelle cappe dei camini, nei sottoscala, ma non trovò nulla.
Corse e ricorse per tutto il palazzo, percosse muri alla ricerca di nuovi passaggi e stanze nascoste, a vuoto.
Quando ormai stava per rassegnarsi sentì dei singhiozzi provenire da una parete di uno dei corridoi principali. Lì aveva guardato e riguardato, ma poteva essergli sfuggito qualcosa.
Accostò l'orecchio al muro e sentì chiaramente l'amica singhiozzare. Era lì dietro, da qualche parte, la chiamò, lei rispose subito.
“Sono qui, sono qui, vieni a prendermi fai presto!”
“Eccomi... sì! Non aver paura! Arrivo subito!”. Corse via a cercare qualcosa per buttar giù quel muro, e tornò in pochi istanti con un pesante candelabro di ottone.
Cominciò a sbattere contro il muro con tutte le forze che aveva in corpo. L'ultimo ostacolo tra lui e la ragazza non era particolarmente solido, e dopo pochi colpi si aprì uno spazio sufficiente a farlo passare. Si lanciò nell'apertura, si vedeva poco, ma i singhiozzi erano vicinissimi, quasi come la ragazza fosse lì, a pochi metri da lui. Provò a chiamarla, ma non ottenne risposta.
Fece luce con l'accendino e si trovò davanti a uno scenario irreale: era in una stanza minuscola, massimo due metri per lato, ma il soffitto non si vedeva, guardando in alto appariva tutto nero, come se quella stanza arrivasse fino al cielo.
Capì subito cosa stava succedendo: la ragazza era da qualche parte sopra di lui, e i singhiozzi che sentiva erano portati dall'eco. Tuttavia non si perse d'animo, e fece per lanciarsi di nuovo alla ricerca, quando a un tratto, un urlo gli fece gelare il sangue nelle vene.
“Noooo!!! Noooo!!!! Lasciatemi! Non voglio! Noooo!”
Guardò ancora sopra di lui e vide che da qualche parte cominciavano a entrare i primi raggi di sole. Scoppiò in lacrime e scappò via, e non rimise più piede in quella casa.
Molti anni dopo un terremoto danneggiò il palazzo. Un operaio, durante la ristrutturazione, scoprì una stanza nascosta. Sul pavimento, rannicchiato, il corpo nudo di una ragazza dai lunghi capelli neri.



13 commenti:

Anonimo ha detto...

ieri sera sono stato alla proiezione della "Terza Madre" di Dario Argento. Streghe del male contro streghe bianche...spunti di regia favolosi, come sempre, feticismo cinematografico, ma...storia e sceneggiatura imbarazzanti......
un grande regista potrebbe affidarsi ad autori giovani e talentuosi, e dedicarsi a dirigere.
Avrei un nome da consigliarli.
Bella storia, bel finale.
Paolo

Stefano ha detto...

caro paolo, sempre troppo buono!
magari fossi bravo a scrivere come te a dribblare ;-)!!!

Anonimo ha detto...

Questo racconto mi ha inquietato non poco, non so se riuscirò a non pensarci tornando in quel salone!! è molto bello e ben articolato, sono stata con il fiato sospeso quasi per tutta la sua lunghezza!! Comunque sbaglio o hai preso spunto anche da un numero di Dampyr?

Stefano ha detto...

eheh... diciamo che la fonte d'ispirazione è la stessa

Il Gabbrio ha detto...

Veramente molto bello, mi è piaciuto moltissimo...bravo Sté!!!

Stefano ha detto...

grazie!

Gisel_B ha detto...

mi hai fatto venire gli scrolloni al cuore! birbante che non sei altro... e non fare piu' queste cose! te e... :)
ben scritto, ben narrato.

Stefano ha detto...

gisèl!
ma sai quanti scrolloni hai fatto venire tu ;-)? (e mica solo a me!)
comunque io sono bravo, certe cose non le faccio! o sì?

Gisel_B ha detto...

chi tu bravo?
tse... peccato, speravo fossi un po' piu'...
^^
bacio e a lunedi',
keep an eye to my blog, please!
:))

Anonimo ha detto...

Però!
Mica male, apparte il finale...;)

Stefano ha detto...

lulù!
sai com'è, a me il vissero felici e contenti m'ha un po' rotto...

Anonimo ha detto...

pienamente d'accordo.
secondo me dovresti vedere come va a finire PER DAVVERO!

Anonimo ha detto...

Perche non:)