giovedì 6 settembre 2007

Il sogno/1 - Parte Quarta



[...]

Gabriella era lì, sulla soglia della casupola.
La sua sagoma si stagliava nitida sull'oscurità dell'ingresso che avevano appena varcato assieme, in piedi, la testa ritta, i capelli mossi dal vento che soffiava appena.
Penna-rossa e il suo strano compare non si vedevano più, mentre nel vuoto oltre l'ingresso della casupola si intravedeva la strana ragazza che lo aveva aiutato a portarla fuori di lì.
Se solo avesse potuto avrebbe provato un'immensa gratitudine per quella strana creatura di cui ancora non aveva capito la provenienza. E lo stesso forse per gli altri due ceffi che lo avevano tormentato fino a pochi minuti prima.
Però in quel momento non provava altro che una gioia immensa, totale. Lo sguardo perso lungo i contorni di quel corpo che conosceva così bene, l'orecchio teso ai fruscii dei vestiti che lei indossava, mossi dal vento, l'olfatto pieno di quell'odore così familiare, la bocca piena del sapore inebriante della felicità, finalmente. All'appello mancava solo l'inconfondibile senso di pienezza dato dalla consistenza del suo corpo tra le dita.
Istintivamente fece un passo verso di lei, allungando una mano per toccarla.
“Nuuuuuu” dalla casupola la voce terribile della ragazza lo bloccò. Negli occhi di Gabriella comparve un terrore così grande che lui non immaginava potesse esistere.
“Allora non ci siamo capiti!”, Penna-rossa, di nuovo accanto a lui.
“N-no, io non voleva toccarla, era solo per...”, poi una stretta terribile gli spezzò la frase in gola. Di nuovo quegli occhi rossi, di un rosso che non aveva mai visto. “Non devi provarci mai più, altrimenti lei torna da dove è venuta e tu...”
“Nuuuuu!”, di nuovo la tipa.
“Va bene, va bene” Penna-rossa lo lasciò e lui prese a tossire tentando di tornare a respirare. “Per stavolta va bene, ma non provarci mai più. Adesso forza, và da lei, tra un po' verremo a riprenderla”.
“Coff-cough... come tra un po'? Io credevo...”
“Non mi interessa quello che credi tu. Cos'è? Vuoi tenertela una settimana? È già troppo così. E ora attento a quello che fai”.
Disse e sparì, con i suoi due strani compagni, in uno sbuffo di fumo. Avrebbe dovuto stupirsi, Alfredo, ma quella notte ne aveva viste veramente troppe. Si guardò intorno, erano soli, lui e Gabriella, davvero, finalmente.
Si sedette sull'erba, lei lo imitò, ripiegando agilmente le gambe sotto il corpo come aveva sempre fatto. Era lì, a pochi centimetri, il suo sguardo era fisso sull'uomo cui una volta, nel bosco lì dietro, aveva giurato eterno amore, ma in realtà guardava un punto indefinito fisso chissà dove.
Allora lui prese a parlarle.
Titubante, all'inizio. Poi le parole vennero fuori da sole. Raccontò tutto quello che aveva vissuto negli ultimi mesi, il dolore, la solitudine, la disperazione. Trovò il modo di descrivere quell'enorme buco nero che gli si era aperto in pieno petto, giusto tra lo stomaco e il cuore. Raccontò le giornate vuote e interminabili, passate con una foto, una maglietta, un libro, qualsiasi cosa contenesse un sia pur minimo ricordo tra le dita; le notti insonni, spese ad accarezzare quel vuoto nel letto reso ancor più grande e incolmabile dalla sua sagoma impressa nel materasso; raccontò i pianti e gli improperi, le urla e le maledizioni, le esplosioni di rabbia e l'incessante montare di una tristezza invincibile.
Mentre parlava guardava quel volto opaco e distaccato, lo sguardo vitreo, privo di vita, che cominciava ad animarsi. Piano piano la pelle riacquistava consistenza, come se qualcosa, dall'interno di quel corpo privo di vita, pompasse nuova linfa nelle vene e nei tessuti.
“E poi... alla fine... tu sei tornata da me”. Finì il racconto con gli occhi gonfi di lacrime e la gola secca. La prima luce dell'alba rivelava che erano trascorse almeno un paio d'ore da quando i due erano venuti fuori dalla casupola, sebbene a lui, nonostante il lungo monologo, sembrassero passati solo pochi minuti.
Finalmente gli occhi di Gabriella tornarono a brillare, le labbra si distesero in un sorriso, con la testa inclinata da un lato.
“Ciao, piccolo”. Disse lei, come ridestandosi da un sonno lunghissimo, e in effetti quello era il saluto che aveva riservato ad Alfredo per anni, ogni giorno, da quando era cominciata la loro storia.
Alfredo sussultò, per l'ennesima volta quella notte.
“Ciao piccola”. Rispose con un filo di voce, immobile sul prato eppure fluttuante in uno spazio indefinito, a metà strada tra il cielo, la terra e l'iperuranio.
“Per questa sera può bastare”. Deciso, perentorio, spuntato chissà da dove, Penna-rossa mise fine all'idillio.
“No... ti prego... ancora un po'...”. A parlare era stata Gabriella, disperata e quantomai viva.
Penna-rossa la fissò in volto, una scarica elettrica scosse l'aria della radura, e la ragazza
sparì nel nulla, come se non fosse mai stata lì.
“Che... che cosa le hai fatto?”. Gridò Alfredo.
“Nulla. Proprio nulla.” Rispose Penna-rossa, che adesso aveva il corpo interamente ricoperto di tatuaggi, come uno yakuza. “Ha semplicemente ripreso il suo posto nell'ordine delle cose”.
“E questo cosa vuol dire?”. Alfredo era sempre più angosciato, temendo di averla persa di nuovo.
“Vuol dire che è tornata al suo posto, dove sarebbe dovuta stare in queste ore, se io e i miei amici non avessimo deciso di aiutarti”. Con un tono saccente da primo della classe.
“E... e io... potrò vederla ancora?”. Alfredo aveva decina di domande da fare, tuttavia optò per la più scontata.
“Mmm” si fermò per accendersi un lungo sigaro cubano. “Direi di sì, se porti le cose che ti abbiamo chiesto, e se continui ad attenerti alle regole”.
“Farò tutto quello che volete” Gridò nuovamente. “Ma quando posso venire?”.
“Vieni quando vuoi, se vedi uno di noi fatti avanti, altrimenti tornatene a casa, questo non è un posto tranquillo”. Gli diede un buffetto sulla spalla e sparì nel nulla.
Alfredo rimase solo. Cadde in ginocchio, fissando l'ingresso della casupola. Sembrava impassibile, in realtà era tormentato dalla tentazione di entrare lì dentro da solo, infischiandosene dei divieti e delle regole di quello strano tipo.
Era lì lì per alzarsi ed entrare, quando sentì una mano sulla spalla.
Era la strana ragazza di prima. Lo guardava accorata, mugolando strani versi. Alfredo capì, non sapendo come, che lo stava scongiurando di non fare quello che aveva in mente.
“Non so perché, ma farò come dici, ora torno a casa” disse.
La ragazza sorrise e gli porse uno strano oggetto. Un bastoncino di legno, con alla sommità un palla fatta di fili di erba intrecciati. Lo scosse, indicando se stessa.
“Mi stai dicendo che se lo scuoto arrivi tu?”.
“Duh, Duh!”. Esclamò la ragazza annuendo.
Non sapeva perché, ma quello strano essere decisamente era dalla sua parte.
Poi il suo sguardo tornò serio, e prese a fare strani movimenti con le dita, accompagnati da esclamazioni gutturali.
“Posso chiamarti solo se ho qualcosa per te? Giusto?” chiese Alfredo, che ormai capiva tutto o quasi quello che lei diceva.
Per tutta risposta lei scosse la mano con il palmo rivolto verso il basso, con un'espressione grave.
“Solo se ne ho davvero bisogno?”.
“Duh, Duh!”. Di nuovo annuì.
E come farò a sapere quando sarà il momento?”.
La ragazza increspò il labbro inferiore socchiudendo gli occhi, come a dire, 'lo capirai'. Poi si alzò sulle punte dei piedi, gli baciò un angolo della bocca e, lentamente, rientrò nella casupola, non senza aver prima lanciato verso Alfredo un ultimo, malinconico sguardo.


continua...

9 commenti:

Gisel_B ha detto...

scorre veloce come fotogrammi in un film...
:)

Il Gabbrio ha detto...

oramai è divenuta una lettura veramente piacevole, sta venendo su un bel racconto, ed il fatto di leggerlo a puntate è tremendamente stimolante!

Stefano ha detto...

prima un fumetto... poi un film... qua va a finire che mi monto la testa! ;-)

Stefano ha detto...

grazie gabbrio!
sinceramente la cosa mi si sta un o' ingarbugliando, ma le prossime due puntate sono già in rampa di lancio. ciao!

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